
Beirut, gli arabi divisi sulla Siria. Avevano provato ad annunciarlo come il ‘summit della riconciliazione araba’. Una forzatura, sperando diventasse almeno la ripresa del dialogo per mettere fine agli anni recenti segnati dallo scontro dalla secolare partita politico religiosa sunniti-sciiti variamente strumentalizzata di volta in volta: le petromonarchie sunnite e il ‘blocco sciita’ con riferimento iraniano, ma sopratutto dagli interessi Mediorientali delle potenze occidentali.
«Un mix tossico -lo definisce Michele Giorgio, Nena News-, che ha devastato la Siria e lo Yemen e gravato sulle sorti di Iraq e Libano. Senza dimenticare i quattro anni di Califfato dell’Isis nel nord dell’Iraq e della Siria». Eppure, nonostante questo e altro ancora, il vertice di oggi a Beirut ribadisce le enormi differenze esistenti tra i leader arabi e rinviato chissà a quando il reintegro della Siria nella Lega araba che appena qualche settimana fa sembrava imminente.
Ripensamenti di massa, arrivi prima annunciati e poi cancellati da parte di quasi tutti i capi di stato attesi in Libano. Scuse varie. Esempio, l’opposizione di alcune forze sciite libanesi alla presenza della Libia, su conti antichi del 1978. Scuse appunto. Motivo reale, sempre la Siria. Con i nemici di sempre: l’Amministrazione Trump al comando, Qatar e Arabia saudita il suo braccio armato sul campo, per mantenere nei confronti di Damasco, alleata del nemico Iran, una linea di scontro. In attesa di azioni anche più decise, con altri protagonisti mediorientali militarmente più affidabili.
Washington al momento decisa a bloccare l’aiuto regionale e internazionale per la ricostruzione del Paese. Ed ecco che solo i presidenti della Mauritania e della Somalia parteciperanno al summit, mentre gli altri 18 Stati arabi invieranno solo delegazioni a livello ministeriale.
La conta di chi non c’è. Mancherà anche il presidente dell’Anp Abu Mazen che, spiegano a Ramallah, ha preferito non violare i diktat dell’Arabia saudita. Giostra di compromessi. Col segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, che riconosce, “non ci sono novità per la Siria”, il che vuol dire che al vertice annuale arabo di marzo, Damasco sarà lasciata ancora una volta fuori dalla porta. La Siria, l’invitato scomodo a Beirut, toglie l’incomodo e qualche sassolino nelle scarpe: «Con grande rispetto per la parte ospitante -l’annuncia l’ambasciatore- abbiamo deciso di rinunciare. non è possibile partecipare mentre la Lega araba non corregge l’approccio inappropriato nei nostri confronti». A dar ragione a Damasco la diplomazia libanese. «Oggi la Siria è il vuoto più grande nel nostro summit», ha detto ministro Gebran Bassil, che promette il sostegno libanese a un “meccanismo” per la ricostruzione del paese.
Sullo sfondo tutto questo intricato pasticcio, la guerra, per ora fatta di sanzioni economiche e diplomatiche, che l’Amministrazione Trump, le monarchie sunnite arabe e Israele fanno all’Iran. Beirut prologo, escalation presto a Varsavia, leggiamo sul Manifesto. «Una ulteriore escalation è prevista dopo la conferenza promossa dagli Stati uniti “Pace e sicurezza in Medio Oriente” con paesi arabi, africani e occidentali, incentrata sulle “attività regionali” dell’Iran, si terrà dal 13 al 14 febbraio a Varsavia». Un vertice che, scrivono da giorni i giornali arabi, dovrebbe dare vita alla ormai pluri evocata ‘Nato araba’ in funzione anti-Tehran.
Un’alleanza di cui Israele solo ufficialmente non farà parte perché, annota il sempre attento Michele Giorgio, la presenza a Varsavia, del premier Netanyahu, assieme ai ministri degli esteri arabi, rende esplicito il ruolo che Washington riserva a Tel Aviv. Una Confederazione giordano-palestinese, e ben due Gerusalemme capitali.