
Macedonia del Nord ex Jugoslavia, pronta per Nato e Ue
Voto costituzionale quasi di corsa diventato vincente nei numeri grazie ad alcune ‘conversioni politiche’ di parlamentari del partito di opposizione, l’ultra nazionalista VMRO-DPMNE. Tre i ‘pentiti’ sotto processo per aver partecipato all’assalto del Parlamento macedone lo scorso 27 aprile, per cui è pronta l’amnistia e forse qualche altro aiuto più personale e segreto. Peccati del passato e redenzione garantita anche per Elizabeta Kanchovska-Milevska, per ben 9 anni ministro della cultura dei governi nazionalisti di Nikola Gruevski, con qualche problema giudiziario su alcune nebulose commesse statali del progetto “Skopje 2014”. Nato e se mai fosse, Ue, vanno bene alcune generosità giudiziarie e quant’altro per noi mai noto. A convincere al voto pro Nato la componente etnico-politica albanese (due i partiti tra loro contrapposti), con l’albanese che, dal 14 gennaio, è diventata la seconda lingua ufficiale del Paese.
L’ultimo No della Grecia a causa della disputa sul nome fu al Vertice Nato di Bucarest del 2008. Ancora un decennio per superare (non ancora del tutto in casa greca), la discendenza di Re Filippo il Macedone e del figlio Alessandro. Più modernamente, temute mire irredentistiche e pretese territoriali, storiche e culturali nei confronti dell’omonima storica regione greca. Per colpa di quella storia di 2 mila e rotti anni fa, dal 1993 -fine Jugoslavia- la Repubblica di Macedonia divenne membro delle Nazioni Unite con il nome ‘provvisorio’ di FYROM, Repubblica ex Yugoslava di Macedonia. Fu il primo Presidente della macedonia post jugoslava, Kiro Gligorov, ad avviare il superamento della anacronistica lite internazionale che ancora avvelena il clima politico, ad esempio, in Grecia, col rischio di elezioni anticipate.
Sul piano politico interno, vittoria del Governo Zaev che è riuscito a scongiurare crisi politica ed elezioni anticipate (vedremo Tsipras in Grecia). Nuovi rapporti con Atene e per Skopje l’uscita da un certo isolamento geopolitico figlio del nazionalismo provocatorio fatto di statue del Grande Alessandro, col suo nome dato all’aeroporto internazionale, e altre trovate piccole piccole. Quindi la Macedonia di corsa verso la Nato, a cui una parte politica punta dal 1995 con i ‘programmi di Partenariato per la pace’ e successivamente il Membership Action Plan, piano per l’adesione. In realtà, il supporto delle Macedonia alla Nato c’è stato, e consistente (anche se nascosto), già nella preparazione dei bombardamenti Nato contro la Jugoslavia di Milosevic per il Kosovo nel 1999. Oggi ad applaudire, il segretario generale Stoltenberg, e il comandante delle Forze Nato in Europa, l’americano Scaparrotti. Tutti contenti, meno Mosca.
L’ingresso della Macedonia rientra certamente obiettivi strategici dell’Alleanza, insieme alla recente adesione del Montenegro. Il fianco sud della Nato per contenere una sempre meno credibile ‘influenza russa’ nella regione. E da subito, la concessione della base militare di Krivolak, situata a Nord-Est della Macedonia, per attività addestrative NATO. La stessa base che nel 1998 il presidente Gligorov rifiutò di concedere alla Nato per i bombardamenti del ’99. Krivolak -memoria storica- che veniva utilizzata dalle Forze Armate jugoslave -la Grande Jugoslavia, la Federazione socialista di Tito- per esercitazioni di assalto aereo proprio contro la Nato a guida americana, allora e sempre. Il quell’enorme poligono di tiro, scopri oggi, già nell’agosto 2018, circa 200 militari Usa Kfor (Kosovo) si sono esercitati a colpi di artiglieria aerea e terrestre.
“A pieno regime la base di Krivolak -leggiamo su Analisi difesa- sarà in grado di ospitare un’intera brigata meccanizzata di qualche migliaio di uomini”. Oltre Camp Bondsteel in Kosovo, ormai la più grande base militare Usa in Europa. E da subito il “Decisive Strike Drill 2019” con oltre 1000 uomini dell’esercito americano e di quello macedone. Nato americana già bella che fatta. Mosca che non ride con qualche ragione. Il nulla osta per la Macedonia del Nord nella Nato è una ulteriore espansione dell’Alleanza ad Est che Mosca considera una minaccia alla sua sicurezza. Per questo, la ratifica dell’accordo è stata definita incostituzionale da Mosca che accusa Nato e Usa di corruzioni politiche (accuse contrapposte), per arrivare alla recente decisione parlamentare sul nome.
L’ultimo baluardo russo nella regione resta ancora la Serbia ora governata da Vucic, che il 17 gennaio riceverà in visita Putin per sottoscrivere una serie di accordi di cooperazione, riaffermando il sostegno di Mosca all’integrità territoriale della Serbia. La questione Kosovo e quei tre mesi di bombardamenti, da quelle parti dei Balcani, bruciano ancora. Molto più tortuosa e incerta la strada di Skopje verso l’Unione europea. Con la Bulgaria al posto delle Grecia a minacciare il suo No. Con il Ministro della Difesa Karakachanov – cita Anna Miykova su Analisi difesa- che ha recentemente definito il macedone un ‘dialetto bulgaro’ che non potrà essere riconosciuto alla stregua delle altre lingue ufficiali dell’Unione. Pensare che proprio la Bulgaria nel 1991 il primo Paese a riconoscere la Macedonia con il suo nome costituzionale. In realtà, nessun pericolo sul percorso ‘euroatlantico’ di Skopje. Basterà aspettare che anche Sofia sia aiutata a cambiare qualcosa.
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