
L’ex Isis data per sconfitta in Siria, ammazza gli americani in partenza
Manbij, in Siria, a nord ovest di Aleppo. Secondo la Reuters, che cita funzionari Usa, quattro soldati americani sarebbero rimasti uccisi e tre feriti nell’attacco che è stato rivendicato dallo Stato Islamico attraverso la sua agenzia di propaganda Amaq. Il portavoce della coalizione a guida Usa ha confermato su Twitter che tra le vittime ci sono militari Usa ma non ha specificato quanti. Un attentatore suicida con un giubbotto esplosivo contro una pattuglia militare Usa nella città che è sotto il controllo delle forze curde-arabe con il supporto degli americani. Le vittime complessive sono più di 18, sostegno fonti locali.
Accade esattamente ad un mese da quando il presidente degli Stati Uniti, Trump, aveva annunciato a sorpresa il ritiro dei 2 mila militari statunitensi dalla Siria, dato che lo Stato islamico era stato sconfitto. La decisione della Casa Bianca, oltre che clamorosamente e drammaticamente smentita oggi (se ancora serviva), era stata accolta con molto scetticismo dagli alleati nella regione, i combattenti curdi per primi, ma anche dagli alti funzionari americani, incluso il segretario alla Difesa Jim Mattis, l’ex generale che sopratutto per questa ragione, ma non solo per questa, aveva deciso di dimettersi.
La milizia del Consiglio Militare Manbij controlla la città da quando le forze a guida curda l’hanno liberata dallo Stato Islamico nel 2016. La telecamera di sorveglianza puntata su Sindis Street, nel centro di Manbij, ha ripreso la brutale esplosione. Sono le 12.38, ora di pranzo e il ristorante Qeser al Umaraa, è pieno quando un attentatore suicida si fa saltare in aria. Il bilancio attuale 18 morti, 14 civili e quattro marines statunitensi. Ma Manbij non è un luogo qualsiasi: è la città, nel nord della Siria, dove sono di stanza i 2mila soldati Usa inviati a sostegno delle Forze Democratiche Siriane precisa Chiara Cruciati su il Manifesto.
Il «califfato» rivendica l’attentato e sbuguarda la Casa bianca. Perché mentre i marines Usa in Siria saltavano in aria insieme a 14 civili, il vice presidente Mike Pence, in conferenza al Dipartimento di Stato, ribadiva quanto affermato da Trump a metà dicembre: «Il califfato è sbriciolato e l’Isis è sconfitto». Drammatica smentita nel cuore della presenza americana in Siria. «Quella della vittoria è una retorica che l’amministrazione Usa tenta di far passare per dare un senso al ritiro delle truppe dalla Siria alla luce dei rapporti con la Turchia, a cui Trump un giorno allunga la carota e il giorno dopo sventola il bastone», denuncia Cruciati.
Nei giorni scorsi il presidente Usa aveva prima minacciato di devastare l’economia turca se Ankara avesse toccatro le unità curde che avevano sconfitto Isis, e poi (carota a seguire il bastone), ha dato il via libera alla ‘zona cuscinetto’, ma il territorio siciriano, che Erdogan va rincorrendo da anni. ‘Zona di sicurezza’ larga 30 km e lunga 460 lungo tutto il confine turco-siriano presidiato da Ankara. Netto rifiuto curdo alla zona di sicurezza di cui discuterebbero Erdogan e Trump, con Damasco a sua volta contraria. Rojava la terra siriana abitata principalmente di curdi, la accetterà solo se a gestirla sarà l’Onu, che Trump (ed Erdogan) non ama.
Manbij, la città della strage, luogo strategico e assieme simbolo, ricorda Chiara Cruciati: «liberata dopo Kobane, nell’agosto 2016, dalle neonate Sdf, da curdi, assiri, arabi, turkmeni, rappresenta il sogno democratico di una Siria multietnica e multiconfessionale, autogestita secondo il modello di Rojava». Un ostacolo per i piani turchi, ed ecco la minaccia di 300 veicoli blindati a 35 km a sud di Manbij, nella vicina Jarabulus, pronti ad un ordine di Ankara. A dividerli dalla città, l’esercito di Assad chiamato dai curdi a intervenire prima di qualsiasi mossa turca, e Mosca che ha tra le mani la bozza di intesa Rojava Damasco per una futura autonomia.