Aspettando che crescano gli zecchini d’oro

Come un’urgenza, le parole di Mario Lodi mi tornano in mente. Come fossero un fazzoletto per asciugare le lacrime. Con un misto di commozione che scardina le porte serrate della costernazione, a fronte di tanta povertà d’animo, di fanfaroni fasulli e sprezzanti egemoni, di povera gente perduta nel gorgo del tempo, senza guide, senza rivoluzione, senza la speranza di un domani diverso. Sola, abbandonata da tutti, anche dagli ultimi mestatori. Senza spirito, senza una voce, senza un maestro che indichi la via della semplicità, della ricchezza infinita delle cose buone e piccole, di quella scuola povera e piena di cultura, d’innovazione, di umanità dell’insegnante di Piadena. Poche cose e tante idee, fantasia e senso di libertà, a fronte di troppe cose insignificanti e zero libertà, zero senso critico.

Rileggo le parole
di un’intervista apparsa sulla Stampa il 19 settembre 2009. Giorgio Boatti raccontava questo maestro elementare, protagonista con Albino Bernardini, don Milani, Gianni Rodari e molti altri della straordinaria stagione di rinnovamento della scuola e della pedagogia tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
A un certo punto lo scrittore-giornalista aveva chiesto a Lodi del futuro; e aveva avuto questa splendida risposta: “Per la verità è un futuro che stava già dentro uno dei libri che ho amato di più, il Pinocchio di Collodi. Lì c’è già tutto sul tragitto che porta il burattino a diventare bambino o viceversa. Quando il cittadino diventa un burattino manovrato dagli altri. E sui Mangiafuoco, o il Gatto e la Volpe che ci vogliono convincere che c’è un campo dove nella notte crescono gli zecchini d’oro, c’è qualcosa da aggiungere rispetto a quanto scriveva Collodi ?”.

Così aveva detto questo saggio e rivoluzionario maestro elementare. Un uomo che ha fatto del pensiero un’azione, nella scuola, tra i ragazzi, dalla parte di chi ha di meno. Dalla parte di chi viene privato costantemente dell’infanzia, della fantasia, del diritto a crescere con un futuro davanti. Senza fili, senza false illusioni che ci rendono barbari, che uccidono la poesia, la bellezza, la creatività. Per l’invenzione conformista di un mondo senza fantasia, dove tutto è già scritto, dove la moltitudine di input e di informazioni si trasforma in un abito mentale di obbedienza e credulità.

Finisco di leggere e di riflettere. L’insegnamento arriva profondo dalla gentilezza semplice della scuola. Qui è ancora così, mi dice una signora con un bel sorriso. Qui il mondo non è ancora finito sotto a un tram. Ci manca poco, ma la comunità è ancora solida e piena di buone azioni. Ripartiamo da qui, dunque. Non ci servono zecchini d’oro e tanto meno fili che ci rendano burattini di campagna uguali a quelli di città.

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