
Guerra araba tra gas e petrolio. «Qatar has pulled out of Opec, the group of 15 of the world’s leading oil producers, to focus on enlarging its gas industry».
‘Il Qatar si è ritirato da Opec, il gruppo di 15 dei maggiori produttori mondiali di petrolio, per concentrarsi sull’ampliamento della sua industria del gas’, prova a ridurre il quotidiano britannico, quasi fosse solo questione di cosa bruciare per dare energia al mondo. Non è solo questione di chi sottoterra ha più gas o più petrolio.
Il realtà, tutto ciò accade alla vigilia del vertice Opec a Vienna per un incontro in cui Russia Arabia Saudita sembrano destinati a litigare sui prezzi del petrolio. La Russia a mantenerlo a un certo livello, i sauditi a spinta Usa abbassare per rendere concorrenti altri petroli (vedi Usa) rispetto a quelli di Putin.
Guerra commerciale ma non soltanto, facendo finta che non lo sia. «L’uscita del Qatar dall’Opec è interamente simbolica ed è rappresentativa della politica velenosa nel Golfo del momento», scrive Anthony Franks, esperto del Medio Oriente.
Esattamente come quanto accaduto nel giugno 2017 ma a parti rovesciate. Restituzione di ‘favori’, quando allora, di punto in bianco, Riad annunciò l’embargo contro l’Emirato sino ad allora amico. Quella decisione, rivelano poi le cronache dei mesi successivi, sarebbe stata presa da Mohamed Bin Salman in persona. Una decisione, quella saudita, a cui hanno poi aderito anche molte altre petromonarchie del golfo. ‘Imputazione’ contro gli Emiri, il sostegno, assieme alla Turchia, ai Fratelli Musulmani, acerrimi nemici di Riad. Si tratta forse del principale nodo della discordia, accentuatosi dopo le disfatte saudite sia in Siria che soprattutto nello Yemen.
Paradossalmente i Saud che volevano isolare il Qatar per costringerlo a rompere definitivamente con l’Iran, hanno ottenuto l’esatto contrario, con il rafforzamento dei rapporti sia politici che commerciali con Ankara e Teheran. Adesso, forte del mancato isolamento, il governo qatariota guidato dalla famiglia Al Thani inizia a restituire i favori. L’Italia, zitta zitta, ha venduto in poco più di un anno navi, elicotteri e aerei circa 10 miliardi di euro ed è ‘viva l’Emiro’.
L’emirato, grande come le Marche e 2,6 milioni di abitanti, sesto Paese più ricco al mondo per reddito pro capite, punta a battere il rivale saudita, dodici volte più popoloso. Il Qaratar rompe il cartello Opec, e senza più vincoli, aumenterà la produzione di gas da 77 milioni di tonnellate all’anno a 110 milioni. Bomba economica.
Doha è un nano per il greggio, ma nel gas (14 per cento delle riserve mondiali), è un gigante. Piano evidente, «schiacciare i sauditi». Quando il 5 giugno 2017 Mohammed bin Salman ha imposto il blocco da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto, pensava di piegare il piccolo emirato in poche settimane.
Ma Doha ha reagito, ha chiesto aiuto militare alla Turchia, e ha pescato 40 miliardi dall’immenso Fondo sovrano.
E l’afflusso finanziario che arriverà dal gas servirà a condurre una offensiva politica in tutta la regione. Altro che «fratello minore» dell’Arabia Saudita. Nella sfida fra il 33enne Bin Salman e il 38enne Tamim bin Hamad Al-Thani, -osserva la Stampa- è quest’ultimo «il favorito» perché può contare su riserve potenziali per «45 mila miliardi di dollari». In ballo c’è la leadership nel mondo sunnita. Mbs vuole arrivarci dopo aver schiacciato «l’islam politico», cioè i Fratelli musulmani, e messo in ginocchio l’Iran sciita. Al-Thani la pensa all’opposto. La sfida è solo all’inizio.
Le prima conseguenze della decisione del Qatar sono il rialzo del petrolio a quota 54 Dollari. Ma siamo alla contabilità, mentre la politica è altra. E qualche osservatore più attento rileva come a quasi 40 anni dalla rivoluzione di Khomeini non sono gli ayatollah iraniani, sotto sanzioni Usa, ad apparire in bilico ma la casata dei Saud, maggiore cliente arabo dell’Occidente. Maliziosamente, Alberto Negri, osservatore del G20 argentino sul Manifesto, rileva la pacche sulla spalle ricevute dal mandante di un assassinio, il principe ereditario Mohammed bin Salmam da tanti leaders mondiali. «Un ricco omicida, che distribuisce commesse all’industria bellica, vale più di un trattato e delle risoluzioni dell’Onu», commenta amaro, Negri. Realpolitik per MBS, o Al Sisi, o Assad, ma non a moralismi variabili. «Adesso manca soltanto la Libia, con il generale Haftar, i gheddafiani e Seif Islam, il figlio del Colonnello che non dispiace neppure ai russi, mentre a Damasco stanno per riaprire le ambasciate delle monarchie del Golfo». Soldi per ricostruire il distrutto e riciclaggio dei jihadisti a Idlib, che loro hanno organizzato e che ora non sanno più cosa farne.
Realpolitik signori. E chiediamo scusa per lo schifo.