Morire per Kiev? Crisi Usa-Russia veramente sull’Ucraina?

Morire per Kiev?

Crisi Usa-Russia veramente sull’Ucraina?
Gli ultimi avvenimenti nel Mar Nero, che hanno visto protagoniste Russia e Ucraina, ci dicono una cosa sola: la crisi è una ferita ancora aperta e rappresenta una delle occasioni, sfruttate a turno da Washington o da Mosca, per tenere la tensione alta. A comando e secondo gli interessi di turno. La partita sull’Ucraina è di sicuro più grossa di quanto appaia e coinvolge altri scacchieri di grande rilevanza, strategicamente molto importanti. Per capirci, la mano di poker tra la Russia di Putin e parte dell’Occidente vede nel “piatto” tutta una serie di elementi (energia, gestione delle aree di crisi, supremazia diplomatica, possibili rovesciamenti di alleanze) che ne allargano l’impatto in modo esponenziale.

Già in passato lo scontro era stato inquadrato in uno scenario più vasto e diventava non tanto facilmente interpretabile, al di là delle apparenze. La Germania, grande “mediatrice”, più per spirito mercantile che per vocazione solidaristica, ha sempre detto agli americani che Putin usa l’Ucraina come “merce di scambio”: se gli Stati Uniti pensano di armare l’Ucraina con strumenti “letali”, allora la risposta di Mosca non si farà attendere. Il Cremlino “passerà” (la formula è tutta da vedere) armi altrettanto “letali” all’Iran. Trump tiene il gioco delle parti. Nessuno ha voglia di morire per Kiev, e tirare un po’ la corda, evitando di spezzarla, serve a tenere i canali del dialogo aperti e a salvare la faccia, almeno in Patria.

Nel mazzo rientra, ovviamente, il rifiuto del Presidente americano d’incontrare Putin al G-20. Una bella pantomima messa in piedi per i fotografi e i giornalisti (e gli ingenui). In realtà a parlarsi per ora sono gli “sherpa”, cioè diplomatici e “adsvisers” incaricati di preparare i dossier, fino alle virgole, prima che i capoccia facciano finta di mettersi d’accordo. Ma la notizia che fa il paio con l’irrigidimento di facciata di Trump, è quella che il Procuratore Mueller ha dato un’accelerata alle indagini sul “Russiagate”. In particolare, è stato aperto un dossier incendiario sugli incontri alla Trump Tower del giugno 2016, quando gli inviati di Putin avrebbero cominciato a “cantare”, offrendo una montagna di carte sui peccatucci, veniali o mortali (come nel caso delle e-mail) commessi da Lady Clinton.

Tornando all’Ucraina, oltre a Frau Merkel, tutta infoiata dalla sua “würsteldiplomatie” (una politica estera dove prima dei principi arrivano le pance), anche qualcun altro deve aver soffiato alle orecchie di Trump che forse non è il caso di scatenare il finimondo per Kiev. Gli accordi di Minsk (cessate il fuoco e autonomia secondo i principi dell’autodeterminazione) si muovono sempre sulla lama di un coltello e qualcuno (da un lato o dall’altro) avrebbe potuto avete un chiaro interesse a soffiare sul fuoco. Come si vede, la partita di cui parliamo è proprio una raffinata mano di poker e non di volgare zecchinetto. E non dobbiamo fare l’errore di tirare una linea col gessetto sulla lavagna, per mettere i “buoni” da un lato e i “cattivi” dall’altro.

No, ci sono solo “interessi”, che a volte sono divergenti e che, invece, la diplomazia “parallela” cerca di far diventare convergenti. D’altronde, il bubbone è datato, e risale a quando Stati Uniti ed Europa si lanciarono selvaggiamente in un allargamento della Nato spesso realizzato a capocchia. Si sarebbe potuto fare tutto senza indispettire Mosca e, in un certo senso, evitando di trattare a pesci in faccia la Russia di allora, in ginocchio dopo settant’anni di gestione economica in gran parte da neurodeliri. Oggi è un’altra musica. Sovietica o no, la Russia è la Russia. E pretende di essere trattata alla pari dagli americani. L’equivalenza strategica è tutto quello che Putin esige e fino a quando non la otterrà ci saranno ancora mille Crimee sulla strada del dialogo.

E Trump? Non dorme la notte per il “Russiagate” e la sua politica estera ne risente in modo pesante. Ormai è chiaro a tutti.

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