
L’Italia verso Visegrad e l’Ungheria rifugio per despoti spodestati
Global Compact, il trattato ONU sull’immigrazione. Gli Stati Uniti di Trump si sono sfilati già da tempo, e l’Italia che insegue, ha sospeso la sua adesione al Global Compact, “in attesa di voto parlamentare’ e per non sputtanare troppo in poveri 5stelle presi a schiaffoni un giorno si e l’altro pure. Ma queste sono quisquiglie italiane. Cos’è il Global Compact, trattato Onu? Il tentativo di dare alcune regole comuni a tutti i Paesi sul pasticcio ‘immigrati’ e ‘rifugiati’. E noi ce ne andiamo, contro ben 190 Paesi di tutto il mondo che hanno firmato? Vantaggio politico elettorale ci cova.
Remocontro rigorosamente estero (o quasi), aggiunge che, oltre alle esitazioni italiane (Premier e ministro degli esteri che dicono una cosa, e il vice prezzemolo, ministro ovunque, che dice di No), annota che l’Italia, oltre agli Stati Uniti, insegue in Europa con Austria, Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, che non hanno aderito al Global Compact. Anche Israele ha annunciato che dirà di No. Schieramenti forse casuali e forse no. Verso l’Italia di Visegrad, come da titolo?
La fuga dell’ex premier dalla Macedonia ex jugoslava, Nikola Gruevski, capo del partito nazionalista col nome più lungo e impossibile da ricordare nella storia, in fuga da un ordine di cattura attraverso quattro distratti confini sino alla accogliente Budapest dell’altro personaggio di ‘forte autorevolezza’ Viktor Orban. E subito il mai pacioso Gruevski ha dichiarato di avere ottenuto lo status di rifugiato politico in Ungheria, nonostante una condanna di due anni per volgare ‘malversazione’. La sua fuga alla corte di Orban – questo il problema politico vero- ora candida il Paese magiaro a patrono dei leader illiberali balcanici e mina le fondamenta della politica estera di Bruxelles. Ripresa di liti in vista, e non solo Ue. Skopje è oggi impegnata nella turbolenta ratifica dello storico accordo sul nome con la Grecia, fondamentale per resuscitare le prospettive di integrazione euro-atlantiche della piccola repubblica post-jugoslava, evaporate durante l’era Gruevski. Il problema di quanta altra Nato (perché solo a quello si arriverà) serva nel sud dei Balcani, è altra questione strategica che tocca da vicino la Russia molto amica dell’Ungheria di Orban.
In crisi la credibilità del fragile governo di Skpje, osserva Simone Benazzo su EastWest. «Il fatto che un ex primo ministro, principale demiurgo di un sistema fondato su clientelismo e corruttela, nonché condannato in via definitiva e tuttora inquisito per una pletora di altri reati, abbia potuto lasciare indisturbato il Paese via terra evidenzia la debolezza delle istituzioni macedoni». Quasi certa presenza settori deviati per una fuga così rocambolesca, per quanto concertata concretamente con lo stato magiaro. Dal confine serbo di Kumanovo su, per tutta la Serbia, sino ai confini ungheresi oltre Novi Sad. Forse una ‘distrazione’ utile per tutti i protagonisti balcanici, meno che per l’Unione europea. Orban, garantendo asilo all’ex uomo forte di Skopje, invia tra le altre cose un segnale a tutti i leader illiberali dello spazio post-comunista e oltre: le affinità ideologiche contano più delle supposte esigenze geopolitiche. Patti tra autocrati. «E il premier ungherese ha celebrato Gruevski come un amico, un alleato rivelatosi imprescindibile per bloccare l’afflusso di migranti e rifugiati in Ungheria, da sempre al suo fianco nel contrastare le fantomatiche trame ordite dal finanziere Georges Soros».