Italia, hub del gas israelo-egiziano-libico tra petrolio e torture

Petrolio e torture

Italia, hub del gas israelo-egiziano-libico tra petrolio e torture
Di solito, spiega l’esperto Guido Rampoldi, le scoperte petrolifere vengono vantate e sovrastimate. Fanfaronate e borsa. Ma attenti quando vengono sottostimate, quasi nascoste, che è molto peggio.
Ad esempio l’Eni, presa nel mezzo tra il sistema di potere dell’egiziano al Sisi e le relazioni tra Stati in Medio Oriente. Proviamo a capirci, che non è facile.
Il febbraio scorso il governo egiziano annuncia che comprerà il gas estratto da un giacimento off-shore israeliano. Importare da Israele? Ma non abbiamo Zohr, il gigantesco giacimento di gas scoperto dall’Eni quattro anni fa?
Al-Sisi in difficoltà, scarica barile: ‘si tratta di un affare concluso da privati’, «Avete mai visto società private concludere affari che non siano per esse vantaggiosi?».

Nour, nel Delta del Nilo

Nonostante in Egitto, contro la stampa piovano cose più pericolose di certe scemenze, i media egiziani insistono: l’Eni ha individuato nel Delta del Nilo una nuova area, Nour, che promette quantità di gas tre volte l’immenso Zohr. Clamoroso, ma al Sisi tace. E l’Eni quasi smentisce, «Occorre attendere l’esito delle trivellazioni esplorative».
Prudenza quanto vuoi, ma l’Eni acquista per 109 milioni di dollari i diritti sul giacimento sempre meno ‘presunto’ e due giorni fa imbarca nell’investimento gli Emirati.
Poi il sito Mada Masr, tecnocrazia egiziana e di ambienti militari, spara due notizie che non fanno felice Al Sisi. Uno: lo Stato pagherà il gas israeliano 7.5/8 dollari per unità di misura, quando estrarlo nel Paese costa 1.73/3.50 dollari. Due: non potrà rivenderlo in Europa, perché il prezzo medio nel continente è 5.80. «Ma allora perché al Sisi tiene tanto a quell’affare ‘tra privati’ che pare un bidone tirato all’acquirente finale, l’Egitto?».

Risposta incorporata

Strumentalmente alla Marzullo, Rampoldi si fa la domanda perché è uno dei pochi a sapere la risposta. Il «privato» citato da Al-Sisi a cui tocca boccone più grosso di quel costoso petrolio israeliano, l’East gas, è società egiziana ma registrata all’estero, che è la copertura del General Intelligence Directorate, delle tre polizie segrete del regime, «l’unica che risponda direttamente ad al Sisi». Il vecchio Mukhabarat, per intenderci. Soldi fuori controllo per finanziare cosa.
Rampoldi bene informato parla di una tv internazionale per contrastare al Jazeera, ad esempio. Ed è già operazione in corso. Il Mukhabarat ha acquistato il maggior gruppo editoriale egiziano, mentre due e due mesi fa stava negoziando l’ingresso nell’impresa del servizio segreto saudita, al comando del principe ereditario Mohammed bin Salman. Operazione frenata dallo scandalo Khashoggi.
Ma l’Eni che c’entra? Se adesso l’Eni annunciasse che i nuovi giacimenti hanno effettivamente dimensioni clamorose, di fatto liquiderebbe l’importazione di gas israeliano come priva di razionalità economica. E il Mukhabarat non ne sarebbe contento; e nemmeno il Mossad; e neppure al Sisi.

L’egiziano a Palermo

I presidente egiziano, recente ospite a Palermo, finora non ha avuto difficoltà a ottenere un mega-prestito dal Fondo monetario, concesso con l’unica condizione che liberalizzi l’economia, con il prezzo del gas per uso privato raddoppiato. Gli egiziani non sono contenti, ma gli europei trattano l’ex generale-presidente «con un riguardo che non è venuto meno neppure dopo l’omicidio di Giulio Regeni, finito nelle mani del suo Mukhabarat».
Per allontanare dall’imbarazzante alleato mediorientale ogni responsabilità, gli ultimi tre governi italiani hanno favorito un racconto con gli uccisori del ricercatore italiano, nemici comuni che volevano danneggiare i suoi buoni rapporti con l’Italia, insomma con l’Eni. Conclusione di Rampoldi, sui i nostri «Giggini» in visita d’ossequio al Cairo che da tre anni chiedono proprio a lui un aiuto per individuare colpevoli che altri non sono che suoi diretti sottoposti. «Si dirà che questa farsa è obbligata dalla posta in gioco, la prospettiva per l’Italia di diventare l’hub del gas israeliano, egiziano e libico diretto in Europa. Ma quantomeno dovremmo modificare il copione, renderlo un po’ più credibile, o meno indecente».

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