
Il sogno di Osman prima di Erdoğan
Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, l’impero ottomano rivolse la sua attenzione ai vicini Balcani a al Mediterraneo: per due secoli l’Europa ne subì tutta la pressione politica e militare, ma nell’immaginario collettivo turco si stava compiendo invece il ‘sogno di Osman’. Al fondatore della dinastia imperiale era infatti apparso in sogno un albero gigantesco le cui radici rappresentavano in realtà i fiumi lungo il corso dei quali si sarebbe espanso il grande impero. Nel poema epico che narrò in seguito la leggenda del sogno premonitore le valli del Tigri e dell’Eufrate, la valle del Nilo e – per i Balcani – la valle del Danubio sarebbero diventate le principali direzioni geografiche di queste espansioni territoriali. Solo nel 1683, fallito l’assedio di Vienna, i turchi rinunciarono ad espandersi ulteriormente, ma nel frattempo i loro domini europei si erano consolidati e cominciarono perfino a godere di un relativo benessere economico.
Dall’impresa di Vienna si moltiplicarono però anche i tentativi di scacciarli dalla regione e guerre e spedizioni armate si susseguirono a ritmo sostenuto: nel 1699, dopo una guerra disastrosa contro la lega santa, fu firmato un primo trattato, ma non bastò ad assicurare la pace. Seguirono la guerra del 1714-1718 con Venezia e l’Austria, conclusa dal trattato di Passarowitz, e altre tre guerre con la Russia e l’Austria rispettivamente nel 1736-1739, nel 1768-1774 e nel 1787-1792, a conclusione delle quali furono siglati accordi di pace a Belgrado, a Küçük Kaynarca e a Iassy. Gradatamente l’impero perse i suoi territori nord-occidentali e per l’Ungheria, la Serbia a nord di Belgrado, la Transilvania e la Bucovina, la storia cambiò in quanto divennero parti dell’impero austriaco. Nello stesso periodo analoga sorte subirono i territori turchi che si affacciavano sulla sponda settentrionale del mar Nero che entrarono a far parte dell’impero russo. Spesso in disaccordo su molte cose, Austria e Russia non lo erano affatto invece sul progetto di ingrandirsi a spese dell’impero turco.
Per secoli agli occhi degli occidentali i turchi avevano rappresentato un avversario temuto, temibile e spietato, ma non sempre il ruolo dei cattivi fu esclusivamente giocato dagli ottomani. Alla fine di ottobre del 1697, dopo aver sconfitto i turchi nella battaglia di Zenta (11 settembre), dall’Ungheria il principe Eugenio di Savoia raggiunse Sarajevo con un contingente di truppe a cavallo poco numeroso, ma molto mobile e bene armato. Come riportato nei diari della campagna dallo stesso principe, la città fu saccheggiata con metodo, dato che i turchi si erano ritirati, e successivamente data alle fiamme e rasa al suolo. «Le nostre truppe che inseguono il nemico hanno portato bottino – scrisse colui che sarebbe passato alla storia come il ‘nobile cavaliere’ – tra cui donne e bambini dopo aver ammazzato i turchi». Se da una parte Eugenio fu affascinato dalla bellezza delle centoventi moschee della città, dall’altra le distrusse senza complimenti e non precisò se le donne e i bambini fossero schiavi cristiani liberati o semplice popolazione civile bosniaca.
Passata la bufera napoleonica e dopo la breve parentesi della spedizione d’Egitto che per poco tempo sottrasse al sultano una parte del suo impero, le lotte ripresero nei Balcani in maniera diversa. Non era più la religione ad accendere gli animi – sebbene anche questo non sia sempre proprio esatto –, ma i principi nuovi degli stati nazionali e quelli dei diritti dei cittadini scaturiti dalla rivoluzione francese, anche suggeriti da stati come la Russia o l’Austria che non sempre li rispettavano in casa propria. Il corso dell’Ottocento corrispose insomma alla modernizzazione in senso occidentale, ma anche a una lotta politica che vedeva nelle rivolte contro i turchi i principali strumenti con cui realizzarla. Nel primo decennio dell’Ottocento scoppiarono due rivolte in Serbia, mentre in Grecia in un decennio di guerra si raggiunse l’indipendenza nel 1830. La Turchia, in preda alla corruzione e strangolata da un debito pubblico incontrollabile in mano alle potenze europee, fu infine definitivamente scacciata dalla penisola con le guerre balcaniche che precedettero di poco lo scoppio della Prima Guerra mondiale.