Khashoggi, i retroscena strategici dietro il delitto di Stato

Così cambiano gli equilibri
dopo la sparizione di Khashoggi

Khashoggi, retroscena strategici. Questa volta il flipper della politica mediorientale, che spara palline in tutte le direzioni, ha fatto tilt. Qualcuno ha esagerato, sradicandolo letteralmente dai supporti, e mandando in corto circuito l’intera sala-giochi (si fa per dire). La scomparsa (e il pressoché certo assassinio) del giornalista Jamal Khashoggi, nel Consolato saudita di Istanbul, oltre a sollevare orrore e indignazione apre infatti una sfilza di interrogativi. Certo, se a fare una fesseria del genere è stata proprio l’Arabia Saudita, allora stiamo freschi. Il bubbone mediorientale è in mano non a dei raffinati chirurghi ma a un manipolo di lattonieri, che pensano di poter liquidare gli oppositori come si faceva qualche decennio fa: spedendo dei sicari più o meno improbabili a liquidare la “pratica”.

E invece no. Oggi l’intelligence, l’elettronica, le telecamere, i servizi segreti e chi più ne ha più ne metta, lasciano tracce a ogni angolo di strada. Dunque, il povero Khashoggi sarebbe stato letteralmente fatto a pezzi, praticamente “in diretta”. E lasciamo perdere che ancora non esistono “prove certissime”, non ci vuole certo Einstein per decretare che due più due fa quattro. La scoppola per gli sceicchi di Riad è forte. Un vero e proprio sganassone che cambia in mezza giornata i precari (dis)equilibri che erano stati raggiunti in precedenza nella regione. Risultato? La Turchia, furente, ha colto l’occasione per riavvicinarsi all’America. Trump ha anche ottenuto da Erdogan la liberazione del pastore evangelico Brunson che marciva nelle galere della Sublime Porta.

Dall’altro lato, però, la Casa Bianca vede paurosamente traballare l’asse di ferro che si era costruito con l’Arabia. Il blocco sunnita, infatti, è in subbuglio. Contemporaneamente, a Teheran gli ayatollah sciiti brindano a gazzosa (l’alcool non è permesso), mentre a Gerusalemme gli israeliani, alleati-ombra dei sauditi, piangono lacrime amare. E frastornati e imbestialiti si chiedono: ma chi è quell’imbecille che ha organizzato codesto orripilante trappolone? Il think-tank “Debka”, notoriamente vicino al “Mossad”, in genere informatissimo, questa volta casca dalle nuvole e si fa la classica domanda del “cui prodest”. Possibile, si chiedono le barbefinte di Netanyahu, che il Principe Ben Salman (l’uomo forte di Riad) sia uscito di testa fino a ordinare un’esecuzione terrificante, fatta tra l’altro da quattro dilettanti allo sbaraglio?

“Questo vile omicidio – dicono a “Debka” – potrebbe nascondere anche risvolti ben più inaspettati. Come, per esempio, un intrigo di palazzo contro lo stesso Bin Salman. O, addirittura, un sofisticato complotto per mandare all’aria i piani strategici che americani e sauditi hanno definito per l’intera regione. Leggasi un’alleanza d’acciaio per fronteggiare le foie egemoniche (dicono loro) russo-iraniane. Il Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, John Bolton, anche lui colto in castagna dagli eventi, in effetti ha fatto dichiarazioni sibilline. Sempre seguendo la logica del “cui prodest” (chi ha interesse), l’adviser di Trump ha detto che bisogna andare fino in fondo con le indagini. Perché quest’affaire danneggia pericolosamente i sauditi. E anche gli americani, aggiungiamo noi.

Bolton, insomma, ha agitato gli spettri di un complotto più vasto, mettendo indirettamente nel mazzo un po’ tutti, senza fare nomi. Anche se pensare all’Iran o perfino a Putin potrebbe essere consequenziale. Tuttavia, gli analisti più scafati ricordano che dall’arrivo al potere di Bin Salman, il regime saudita si muove senza guardare il faccia nessuno. Sparizioni, arresti e rapimenti non si contano. Addirittura è stato sequestrato anche il Primo ministro libanese Rafiq Hariri. Fatto ricomparire grazie all’interessamento della Francia e a un sostanzioso “riscatto” di 7 miliardi di dollari, girati sul conto del Ministero del Tesoro di Riad. Dunque? Beh, forse complotto o non complotto, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

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