
Dietro i passaporti concessi da Orban agli ‘ungheresi’ negli Stati vicini, una storia vecchia di almeno un secolo. Una storia simile a quella di tante altre minoranze sparse in Europa Orientale (ma non solo) dove popoli e confini non sempre coincidono, e un effetto domino è sempre possibile. Come l’Austria con gli italiani di lingua tedesca in Alto Adige.
Doppi passaporti, sovranismi pelosi e minoranze utili. Eraclito dice «la guerra è madre di tutte le cose» e potrebbe anche aver avuto ragione, ma è certo che, ogni volta che ci trova di fronte a qualche difficoltà in più in Europa orientale, saltano sempre fuori la Prima Guerra mondiale e il trattato di pace di Versailles. Un tempo i Carpazi, la grande catena montuosa dell’Europa dell’Est, segnavano il confine di due imperi, quello austriaco e quello russo. Ambedue scomparvero dopo il 1918, ma anche le popolazioni che vivevano in quei territori ebbero una vita travagliata. Non si trattò solo di un’altra guerra mondiale che provocò milioni di morti e devastò città e campagne, ma dei tanti cambi di nazionalità e di confine che si verificarono in meno di tre decenni: dal 1918 al 1946 furono prima sudditi austriaci, poi cittadini cecoslovacchi, poi ungheresi durante la seconda guerra mondiale, poi cittadini sovietici della repubblica ucraina, infine semplicemente ucraini e dei quali molti oggi già in possesso di un doppio passaporto.
La Rutenia subcarpatica, o Transcarpazia, è una regione in prevalenza montuosa divisa attualmente tra Slovacchia e Ucraina, ma nel 1919 – sebbene la stessa Cecoslovacchia fosse titubante – la regione le fu ufficialmente assegnata con il trattato di Versailles. I motivi principali della perplessità ceca risiedevano principalmente nel ridotto sviluppo economico, nella mancanza di strade e ferrovie e nel diffuso analfabetismo: la regione per secoli, pur appartenendo all’impero d’Austria, era stata mal governata dai grandi latifondisti magiari che vi possedevano terre e foreste senza per questo preoccuparsi eccessivamente delle condizioni della popolazione. Infatti, a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, si era verificata una prima massiccia ondata migratoria soprattutto verso gli Stati Uniti che aveva spopolato la regione. Alla fine della Prima Guerra mondiale, a complicare le cose, la regione proclamò una piccola repubblica indipendente, ma fu occupata militarmente nel giugno 1919 dalla Romania che dovette poi cederla ai cecoslovacchi nel settembre dello stesso anno.
Secondo le potenze vincitrici la Cecoslovacchia infatti era ritenuta la sola in grado di governare un territorio dove si trovavano a convivere diverse minoranze (ungheresi, ruteni, ucraini, cechi, slovacchi, romeni, un piccolo gruppo di tedeschi e naturalmente anche una comunità ebraica, verso la quale nessuna delle altre nutriva simpatia). Ad onor del vero nemmeno la Cecoslovacchia riuscì ad imprimere una svolta provocando malumori e sentimenti indipendentistici tra i ruteni che si sentivano ucraini: inoltre, sebbene la regione godesse sulla carta di autonomia, il parlamento locale non funzionò mai e tutto fu sempre deciso a Praga. Nella primavera del 1939, completamente occupata dai tedeschi, scomparve anche la Cecoslovacchia, ma ricomparvero gli ungheresi che occuparono in pratica il territorio fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, sebbene la minoranza ungherese rappresentasse meno del 12% della popolazione.
Nel corso della guerra anche gli ungheresi persero però il controllo della regione che fu occupata dai tedeschi: seguì la deportazione della popolazione ebraica e dei circa centomila ebrei residenti meno del dieci per cento sfuggì ai crematori di Auschwitz. Quando l’Armata Rossa si affacciò alla cresta dei Carpazi e forzò il passo di Dukla, nel settembre-ottobre del 1944, era scoppiata nel frattempo la rivolta in Slovacchia e fu proclamata l’ennesima effimera repubblica della Transcarpazia. Ufficialmente, circa un mese dopo, il 26 novembre un’assemblea del nuovo stato chiese però l’annessione all’Unione Sovietica e la Cecoslovacchia, un po’ ricordando ancora lo stato prebellico della regione, un po’ sotto la pressione sovietica, cedette senza difficoltà. Quello che non era riuscito insomma alla Russia zarista, cioè affacciarsi sul versante meridionale dei Carpazi, riuscì vent’anni dopo la fine della Prima Guerra mondiale.
Ultime vicende furono il distacco dell’Ucraina prima dall’Unione Sovietica nel 1991 e il cambio di regime in Ucraina del 2014. A partire dagli ultimi avvenimenti, ovvero la secessione della cosiddetta repubblica del Don e l’annessione della Crimea, anche in questa parte di Ucraina sud-occidentale è ricomparsa una certa tensione: i primi segnali – benché sembrassero isolati – si manifestarono molto chiaramente già nel 2015, quando reclute di origine ungherese, arruolate nell’esercito ucraino e in procinto di essere avviate a combattere contro i secessionisti, manifestarono in piazza con le famiglie sostenendo che non si trattava della loro guerra. Poiché anche la Slovacchia ritiene di detenere i diritti storici sulla regione che già furono della Cecoslovacchia, non sembra improbabile un’altra rivendicazione. Orban intanto, concedendo il passaporto ungherese ai cittadini ucraini di origine magiara, non ha tranquillizzato né Ucraina, né Slovacchia, e nemmeno Serbia e Romania, dove vivono altrettante minoranze ungheresi.
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