Macedonia, flop referendum sul nome e inciampo Ue e Nato

Macedonia, flop referendum sul nome. Niente quorum, assenteismo come arma politica, e fallisce il referendum sulla nuova denominazione dell’ex Stato jugoslavo in “Macedonia del Nord”. Ora il premier socialdemocratico Zoran Zaev, deve affrontare il difficile iter parlamentare per l’approvazione dell’accordo con Atene, passaggio cruciale per l’eventuale ammissione del Paese nell’Unione europea e nella Nato, bloccate sino a ieri dal veto della Grecia sulla questione della Macedonia di Alessandro Magno. Probabili prossime elezioni politiche anticipate.

Non solo Macedonia
e Alessandro Magno

Il trattato di Prespes siglato a fine giugno fra i governi di Grecia e Macedonia, era un passo fondamentale per la stabilizzazione dei balcani meridionali, attraverso il venir del veto ellenico all’adesione macedone alla Ue ed alla Nato. Veto che non è solo greco, ma anche bulgaro. Non solo nome ma anche questioni territoriali. L’accordo di Prespes, giunto dopo una diatriba lunga venticinque anni, doveva sanare sanare antiche questioni di geopolitica, vedi le mire dei nazionalisti di Skopjie per la città greca di Salonicco, lo sbocco al mare che a loro manca. Dettagli storici eredità ancora aperta della seconda guerra mondiale.

Ad esempio, l’Assemblea Antifascista di Liberazione popolare della Macedonia” subito dopo la della seconda guerra mondiale, rivendicava ampie fette di territorio greco, bulgaro e jugoslavo, presentate come “occupate” ed in attesa appunto di liberazione. Sotto accusa anche sei articoli della attuale costituzione macedone, con temute forzature nazionalistiche sulla lingua (certamente molto più slava che greca) e la definizione di popolo macedone. L’accordo siglato dai governi Zaev e Tsipras, prevede/prevedeva in contropartita al cambio di nome il riconoscimento di lingua e popolo di quel ‘nord’, come “macedoni”.

Problemi nazionalistici sui due fronti. Ad Atene il governo Tsipras in grave sofferenza, sia per la fortissima protesta popolare degli ultimi mesi, sia per la posizione ambigua del partner di governo e del ministro della difesa Panos Kammenos, il suo partito radicato soprattutto nella Grecia del nord, nella regione del paese che rivendica l’esclusiva del nome Macedonia, in quanto discendenti del popolo di Alessandro il grande. Kammenos ha parlato di “referendum fiasco” e di accordo nullo. A Kammenos risponde il ministro degli esteri greco che ricorda il carattere consultivo del referendum e quindi la libertà del governo di Skopjie di ignorarne il risultato.

Da parte macedone polemiche altrettanto al calor bianco, dopo che il presidente Gjorge Ivanov, espressione del partito nazionalista ora all’opposizione, che aveva invitato gli elettori a disertare le urne. Interferenze anche internazionali, secondo l’accusa mossa dal primo ministro Zaev ad alcuni imprenditori vicini a Mosca di aver “corrotto” l’opposizione nazionalista macedone per di far fallire l’accordo. Mosca ovviamente contraria alla ulteriore espansione Nato nei Balcani, in un Paese di antica amicizia e forte vicinanza culturale e religiosa.

Alle accuse contro la Russia del primo ministro macedone, si è aggiunta la crisi diplomatica fra la Russia stessa e la Grecia con reciproca espulsione di diplomatici nel mese di luglio. Ad aumentare le tensioni, la notizia apparsa sui giornali greci dell’interesse turco per la creazione di una base militare in Macedonia. Oltre all’attività della ‘Heritage Platform’, una società mista turco-cinese che sta finanziando con capitali di Pechino sia opere infrastrutturali che progetti di microfinanza in tutto il paese.

Heritage Platform è uno strumento che somma l’interesse turco e quello cinese per le reciproche influenze nei Balcani a spese di Europa e Nato. Non per nulla, tanto i leaders europei che quelli Nato si erano pronunciati in favore della ratifica del trattato, vincolante data la posizione greca, per l’accesso alle due organizzazioni. C’è poi la questione albanese, dato che buona parte della popolazione, specie nella parte occidentale del paese è di etnia albanese e quindi soggetta alle sirene del sogno nazionalista della Grande Albania, e le eterne tensioni fra Kosovo e Serbia.

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