
Corbyn ‘primula rossa’ Labour riscopre il socialismo. Il ritorno del Labour a se stesso, a prima di Tony Blair: lotta alle diseguaglianze, alla catastrofe ambientale, alla disoccupazione, alla colpevole passività del Paese nei confronti del problema palestinese al suo servile ruolo britannico nei disastri statunitensi in politica estera. Incredibile, sembrava il congresso di una partito socialista risorto dal secolo scorso.
Denuncia dell’avidità del capitalismo finanziario, crollato nel crash globale di dieci anni fa, causa di stagnazione, tagli alla spesa pubblica, crisi della democrazia. Al suo posto, stimoli a un’occupazione che non sia sfruttamento, superamento dell’ingordigia finanziaria, azioni serie per contrastare «l’eco-massacro del quale siamo già vittime e con il quale stiamo suicidando a sangue freddo la posterità».
«Unire il paese e governare anziché dividerlo per comandare», come sta facendo il governo conservatore, l’accusa. Idealità di antica matrice ed acutezza politica del candidato alla premiership britannica a stretto giro elettorale a sostituire la decotta Theresa May.
Jeremy Corbyn in un discorso di candidatura a Downing Street. Questione di mesi probabilmente, se la Brexit farà cadere il governo di Theresa May, ipotesi sempre più probabile. Con l’accortezza di evitare lo psicodramma Brexit che lacera i conservatori. Il leader laburista si occupa della Brexit soltanto verso la fine del suo intervento.
Il Partito voterà contro il piano Chequers di Theresa May, che scontenta tutti, e si opporrà all’uscita “dura” dal mercato comune e dall’unione doganale dell’Ue: «Sarebbe un disastro nazionale. Per questo se il Parlamento respingerà l’accordo dei conservatori o se il governo non riuscisse a raggiungere alcun accordo spingeremo per le elezioni anticipate. E se non sarà così, saremo aperti a tutte le possibilità».
In politica estera, Corbyn contesta le posizioni trumpiane sul clima, l’ambasciata americana a Gerusalemme, la rottura con l’Iran, dalle azioni israeliane a Gaza, propone il riconoscimento britannico immediato dello Stato palestinese, e promette, niente più ‘guerre umanitarie’.