Dai ragazzi della via Pál al 1956, storie ungheresi prima di Orban

Romanzo per ragazzi o profezia d’Europa?

Dai ragazzi della via Pál a Orban. Le vicende dei ‘ragazzi della via Pál’ hanno commosso mezzo mondo e non è necessario raccontarle un’altra volta. Sull’autore invece varrebbe la pena di soffermarsi un po’ di più, soprattutto per ricordare che nel suo paese non poté restare a causa dell’antisemitismo: Ferencz Molnár, che in realtà si chiamava Neumann, era figlio di un apprezzato medico, e fu brillante autore anche di teatro con una fama che varcò i confini del suo paese, ma nella Budapest degli anni Venti essere ebrei non era facile. Nonostante il romanzo fosse stato tradotto in trentacinque lingue e avesse venduto milioni di copie, Molnar non era ritenuto un ungherese come gli altri, o forse era stato proprio il suo successo a non farlo più ritenere tale. Dopo aver viaggiato per tutta Europa dalla fine della Prima Guerra mondiale, nel 1925 aveva deciso di stabilirsi a Vienna e di tornare periodicamente in Ungheria per le rappresentazioni dei suoi lavori teatrali. Nel 1937 però, poco prima che Hitler invadesse l’Austria nel marzo 1938, Molnar si stabilì in Svizzera e nel 1939 allo scoppio della guerra riparò negli Stati Uniti. Non raccolse tuttavia grossi successi ad Hollywood e continuò a lavorare per il teatro. Morì nel 1952 a New York, senza aver mai più rimesso piede in Ungheria, ma – secondo coloro che gli furono accanto alla fine – rimpiangendo i tempi di Budapest come la mitica età dell’oro.

Austria, terra d’asilo fino al 1938

Vienna aveva accolto lo scrittore ungherese sebbene la situazione politica interna dell’Austria andasse lentamente peggiorando. La democrazia della piccola repubblica era in crisi soprattutto per motivi economici e la crisi del 1929 fu il colpo di grazia. La disoccupazione si impennò e la svolta fu autoritaria: un potente vicino come l’Italia di Mussolini aveva convinto la classe dirigente austriaca ad assumere atteggiamenti dittatoriali, ma rimase per lungo tempo l’immagine di Vienna e Salisburgo capitali della cultura e dell’arte europea, città colte, aperte e tolleranti. La facciata mondana copriva una diversa realtà, ma dalla Germania o da altri paesi dell’Europa orientale, per chi fosse perseguitato, l’Austria rimase ospitale, sebbene in preda a convulsioni. Nel 1934 sicari nazisti uccisero il cancelliere Dolfuss e, nonostante la promessa di Mussolini di proteggere il paese, nel 1938 invece molti austriaci furono costretti a lasciare il paese. Dopo il 1945 l’Austria – occupata e divisa in zone dalle potenze vincitrici – non tornò subito un paese del tutto indipendente, ma si trovò ancora una volta ad ospitare soprattutto profughi in fuga dall’Europa orientale. Cechi, slovacchi, ungheresi o polacchi – spesso discendenti dei sudditi dell’antico impero – trovarono certo difficoltà nel secondo dopoguerra, ma ottennero asilo quanto meno in attesa di un visto per emigrare altrove.

Il 1956 e i profughi ungheresi

Un momento drammatico – ancora oggi ricordato spesso in Austria – fu la conclusione della rivolta d’Ungheria: dal 4 novembre 1956 ai primi di gennaio 1957 furono registrati alle frontiere austriache quasi centottantamila passaggi di profughi dall’Ungheria. Nel giugno dello stesso anno il 70% dei profughi aveva già lasciato l’Austria per altre destinazioni, ma – da una statistica ufficiale del 1958 – risulta che a un anno dall’arrivo erano ancora presenti trentamila ungheresi e di questi la metà circa rimase a Vienna integrandosi normalmente. La mobilitazione per l’accoglienza era stata totale: non solo il ministro degli interni Helmer aveva sottoscritto un accordo direttamente con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per garantire le migliori condizioni ai profughi, ma le donazioni raccolte in tutto il paese superarono quasi il fabbisogno. Le autorità austriache organizzarono perfino scuole nei centri di raccolta e un gruppo di psichiatri viennesi, iniziò una ricerca sul campo per studiare il miglioramento dei rapporti all’interno dei gruppi familiari. Ampia ed articolata fu anche l’iniziativa assistenziale della chiesa austriaca a capo della quale si trovava lo stesso arcivescovo di Vienna Franz König. Tutto il paese insomma dette prova di grande solidarietà e soprattutto di organizzazione impeccabile: l’Austria – che da pochi anni era tornata nel frattempo ad essere uno stato indipendente – volle dimostrare anche di aver ripreso un posto a pieno titolo tra le altre nazioni europee.

 

AVEVAMO DETTO

La brutta Ungheria della destra xenofoba

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