Dante in Cina

Eugenio Felice Maria Zanoni Hind Volpicelli
una storia più lunga del suo nome

Eric Salerno insegue Dante in Cina
Ci sono momenti nella vita in cui si sente il bisogno di scappare e la fortuna mi ha regalato l’album di famiglia di Eugenio Felice Maria Zanoni Hind Volpicelli, il protagonista del mio ultimo libro, “Dante in Cina”. Dopo anni di immersione in Africa e Medio Oriente, tra musulmani, ebrei e cristiani, israeliani e palestinesi, mi ha offerto l’occasione per scoprire l’altro lato della Terra. E capire che Gerusalemme, con i suoi amori e odii radicati nella religione, non è il centro del mondo.

Volpicelli cominciò come interprete – e di lingue ne sapeva molte – per poi diventare console generale d’Italia a Hong Kong. Tradusse pagine di Cesare Beccaria per convincere i cinesi che la tortura non si doveva praticare; scrisse in inglese libri sulle guerre locali ancora oggi considerati testi fondamentali.
E altri per spiegare il Go, gioco cinese considerata un’esercizio di strategia militare, o descrivere l’imperialismo russo arrivato sul Pacifico e il ruolo della famosa transiberiana a bordo della quale più di una volta era tornato a Roma dalle sue dimore cinesi.
Era un anti-colonialista in un momento in cui l’Italia voleva competere con Francia e Inghilterra e anche con gli Usa impegnati a mettere in ginocchio l’antico impero giapponese e aprire nuovi mercati da sfruttare. Cose di ieri, cose di oggi.

Attraverso la storia di questo uomo straordinario, che partito dalla famosa università L’Orientale di Napoli diventò insieme protagonista e testimone dei grandi cambiamenti in Cina e Giappone tra la fine del 1800 e primi trenta e passa anni del secolo scorso, sono riuscito a dare un significato e dimensione giusta alla sfida lanciata negli ultimi venti anni da quella parte del mondo al nostro.

Volpicelli, diplomatico e intellettuale, grande viaggiatore e forse anche un po’ spia, era appassionato di Dante e si portò appresso un paio di statue del grande poeta quando si trasferì in Oriente. Nel 1919, già non più giovane e con molti acciacchi, si imbarcò in una quasi solitaria avventura in canoa attraverso fiumi e laghi della Cina meridionale “per scoprire – scrisse lui stesso – in qualche tempio un capolavoro dell’arte religiosa buddhistica che potesse rischiarare di luce tangente le divine creazioni del nostro Dante”.
Qualcosa trovò e il lettore lo scoprirà leggendo il libro che finisce con la morte del suo protagonista a Nagasaki dove aveva deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita, lontana dall’Italia e dal fascismo che disprezzava.

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