
Riarmo. Il 23 agosto l’ entrata in vigore dei nuovi dazi doganali statunitensi, con la ritorsione già prevista da parte cinese. Guerra commerciale Usa-Cina già in corso. Esito del conflitto incerto e vittime da contabilizzare col tempo. Potremmo esserci anche noi italiani. Poi c’è l’altra guerra, quella con i morti veri, ammazzati. E su questo fronte la Cina sorprende e preoccupa persino gli Stati Uniti super armati sceriffi del mondo.
Un rapporto del Pentagono al Congresso di Washington, sostiene che la Cina è ormai in grado di colpire a grande distanza le basi americane nel Pacifico. Entro 10 anni, inoltre, i cinesi avranno la piena efficienza in quella che gli specialisti chiamano «la triade nucleare», ossia la capacità di lanciare testate atomiche sia da rampe di terra, sia da unità navali, sia da aerei in volo. L’allarme segue la firma del nuovo bilancio della Difesa USA per il 2019: 716 miliardi di dollari, contro i 700 del 2018. Un mondo di pazzi.
Cosa dicono i generali e gli 007 Usa. «La Cina sta sviluppando capacità d’ attacco per ingaggiare bersagli il più lontano possibile». Armamenti un po’ obsoleti, il Tupolev Tu-16 sovietico rivisto alla cinese, ma con 6 missili da crociera, di vari tipi, con gittata da 800 a 2.000 km e testata anche nucleare. Peggio: «Caccia non intercettabili, a lungo raggio con capacità nucleare potranno essere operativi entro i prossimi 10 anni». Il ‘Chengdu J-20′, più grosso dell’ F-35 americano, maggior raggio d’azione e capace di portare missili da attacco contro obbiettivi terrestri o navali.
E a fine 2018 o inizio 2019, dovrebbe entrare in servizio la sua seconda portaerei cinese, in completamento nei cantieri di Dalian. Non ancora battezzata, la nuova unità da 70.000 tonnellate è lunga 300 metri e potrà portare sul ponte di volo 32 caccia Shenyang J-15. Si aggiungerà alla Liaoning, per ora l’ unica portaerei cinese operativa. Nani militari rispetto al gigantismo Usa, ma a Washington sembra allermati (o fanno finta).
Marzo 2018, a Pechino decidono la presidenza a vita per Xi Jinping, e le spese militari salgono a 1100 milioni di yuan, 173 miliardi di dollari. Niente rispetto ai 716 di Trump, ma quanto basta a far paura. Il riarmo cinese è incentrato sulle nuove tecnologie. Se c’è una voce in calo è il numero dei soldati, 300mila in meno, sui 2 milioni. Mentre gli specialisti di cose militari ci parlano di un gigantismo militare Usa alla babilonese, con troppi piedi d’argilla, ma meglio evitare una verifica dal vero. Armi dispendiose e spesso piene di magagne. Non solo i tanto discussi F35, ma gli incrociatori ‘invisibili Zumwalt’, mostri da 4 miliardi di dollari per nave.
L’America spreca, la Russia va al sodo con pochi soldi. 47 miliardi di dollari quest’anno, meno di Gran Bretagna (62 miliardi), Arabia Saudita (56) e India (51). Putin pacifista? Solo selettivo: 325 miliardi di dollari, per sistemi come il missile atomico Sarmat, l’ ipersonico Avangard e il non meglio identificato Cruise a motore nucleare, ma è una spesa scaglionata su vari anni, fino al 2025.
Il resto del mondo armato, letto da Mirko Molteni, Analisi Difesa. Gli inglesi che si dividono fra la nuova portaerei Queen Elizabeth e il mantenimento dei missili nucleari sui sottomarini Vanguard. I sauditi spendono e spandono per la guerra in Yemen, massacro a perdere. Gli indiani impegnati sul doppio fronte dell’oceano e dell’Himalaya, per rafforzare la propria marina e tenere a bada il vicino cinese. Un po’ in coda, non sfigura la Francia dell’ineffabile Macron, che ha deciso un aumento della spesa militare per superare la soglia del 2% del Pil chiesta da Trump ai soci Nato. Il giovane presidente francese, con sussulti di grandeur gollista, ha stanziato per quest’anno 34,2 miliardi di euro, 42 miliardi di dollari. Ma l’obiettivo 2023, è molto più ambizioso. Un bilancio della Difesa di 44 miliardi di euro, il 3% del Pil. Oltre Trump (che potrebbe anche non esserci più), e oltre il 3% del Pil. Giustificazione, le ricorrenti missioni francesi in Africa ora motivate dai terroristi islamici. In realtà, sempre ‘l’Africa francese’.