Il ponte di Genova, metafora tragica dell’Italia di oggi

Per quelli della mia generazione, era il ponte della felicità. Quando lo si attraversava, sui sedili posteriori della 124 Fiat di mio padre o al volante della prima 500 voleva dire essere arrivati al mare. Dopo il viadotto, c’erano le prime gallerie e poi la distesa di azzurro della riviera di ponente. Vacanze, week end, tuffi, sole.

Quel ponte era l’immensa arcata su un sogno di massa. Oggi posso dire che hanno distrutto un sogno, anzi due. Il sogno delle vacanze in Liguria e il sogno più ambizioso e legittimo di vivere in un Paese normale, che cura le infrastrutture, che sostituisce quelle obsolete, che progetta il proprio futuro e raccoglie le sfide della modernità. Oggi lo sceriffo Salvini cerca colpevoli e offrirà all’opinione pubblica lo scalpo di qualche funzionario negligente o distratto. E cosi farà torquemada Toninelli, perché la giustizia sommaria, il giacobinismo da ghigliottina è nel dna dei grillini. Ma le responsabilità stanno altrove e rimontano nel tempo, ben prima del declinismo grillino e del populismo leghista.

Un Paese che ha fatto strade nel mondo dal tempo dei romani, che ha progettato fantastiche opere di ingegneria e architettura nei secoli, che ha prodotto i migliori architetti e ingegneri della storia, si è imprigionato da solo nella miseria burocratica e culturale del non fare. Ponti, ferrovie, strade, «grandi opere » sono idee di carta, oggetto di polemiche, pretesti per battaglie ideologiche. Fra le vittime del ponte Morandi, ci saranno la Tav, le autostrade venete, il ponte sullo Stretto e tante altre ambizioni di un fragile Paese che crolla. (Da non dimenticare l’opposizione ai progetti genovesi di variante al viadotto da parte del comico di Genova. I grillini definirono barzelletta l’obsolescenza del ponte).

L’incuria e i ritardi hanno ulteriormente aggravato la situazione di un territorio fragile e delicato. Ma le alluvioni, i terremoti, i cambiamenti climatici non giustificano il ricorso al destino per mascherare il terribile ritardo culturale delle classi dirigenti. Se il governo pentaleghista volesse battere un colpo, dare prova di qualche cosa di sensato dopo le grida razziste e la discesa nel medio evo, si lanci un grande piano di rinnovamento delle infrastrutture, chiedendo seriamente un aiuto all’Europa. Questo sarebbe il vero e legittimo «sforamento» dei conti pubblici. Questo otterrebbe il consenso di altri Paesi, altrettanto bisognosi di lavori di pubblica utilità. E questo rilancerebbe investimenti, consumi e, in fin dei conti, l’idea di un’Europa davvero utile ai cittadini.

Tags: Genova ponte
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