
«Russiagate»: Putin diavolo o Putin alibi?
Da parecchio tempo a questa parte la Russia è sul banco degli imputati perché accusata di indebite interferenze nei processi elettorali dei Paesi occidentali, grazie a una (presunta) massiccia opera di hackeraggio. Si tratta di un vero e proprio crescendo rossiniano, che vede protagonisti grandi quotidiani ed emittenti televisive europee e americane. In Italia Repubblica, Corsera e Stampa guidano da tempo le danze.
L’unanimità è tale da suscitare legittimi sospetti. Se guardo le pagine di New York Times, Washington Post e Le Monde trovo, sull’argomento, le stesse identiche notizie pubblicate dai giornali italiani appena citati, e la faccenda lascia interdetti coloro che non sono disposti a comprare a scatola chiusa. Non ci sarà, vien fatto di chiedersi, una regia internazionale che governa questa incredibile campagna?
Si noti che, a detta dei grandi mass media dell’Occidente, la Federazione russa è la causa di ogni misfatto dei nostri giorni, anche quando alla parola “misfatto” sarebbe assai opportuno sostituire l’espressione “fatto non gradito”. E mi spiego subito.
Secondo la vulgata corrente a Putin e ai suoi abili hacker andrebbero imputati, tra l’altro, la Brexit, l’elezione di Donald Trump, le tensioni interne all’Unione Europea e – buon ultimo – l’avvento del governo giallo-verde in Italia. Eccezionale, non c’è che dire.
Insomma al leader russo e ai suoi collaboratori sarebbe sufficiente disporre di un gruppo di hacker compatto e ben strutturato per modificare le sorti della politica mondiale (ovviamente a loro favore). Si tratterebbe insomma di una riedizione (stavolta concreta) della “SP.E.C.T.R.E.”, (sigla che sta per SPecial Executive for Counter-intelligence, Terrorism, Revenge and Extortion), la celebre organizzazione criminale contro cui combatte da sempre James Bond-007.
Vogliamo però essere seri? Se la risposta è positiva, cominciamo a notare che sono in realtà gli Stati Uniti a detenere il dominio – quasi incontrastato – di Internet e della comunicazione elettronica. Nessun’altra nazione dispone di colossi in grado di influenzare l’opinione pubblica globale quali Google, Facebook e Twitter (per menzionare solo i principali). E, non a caso, la Cina – e in modo più limitato la stessa Russia – li proibiscono o li tengono sotto stretto controllo.
Di cosa stiamo parlando, quindi? Davvero si crede che Trump alla Casa Bianca sia il risultato dell’hackeraggio russo, piuttosto che dell’insoddisfazione di larghissimi strati dell’elettorato Usa per le politiche praticate dalle amministrazioni precedenti? E davvero si pensa che Salvini e Di Maio abbiano vinto grazie agli hacker putiniani, e non per l’ostilità di tantissimi italiani nei confronti della classe politica tradizionale?
Non scherziamo, per favore. I russi (ma pure i cinesi) praticano l’hackeraggio politico internazionale, e su questo non ci piove. Sfido però chiunque a dimostrare che gli americani non lo facciano. Anzi, disponendo tuttora gli Usa di una certa supremazia tecnologica, è del tutto plausibile pensare che lo pratichino in misura assai più pervasiva “ammorbidendo” i mass media per non dare troppo rilievo alla cosa.
Una breve notazione per concludere, che riguarda la sinistra italiana. Ci fu un tempo in cui quest’ultima guardava a Putin con attenzione e rispetto. Poi, in maniera piuttosto rapida, gran parte di essa è passata a un anti-putinismo a tutto tondo, accoppiato a un super-atlantismo le cui radici non si trovano certamente nella sua storia.
Colpa come sempre degli hacker? Ma quali? Forse questi stanno a Washington e a Londra? Non sono domande inutili, poiché l’attuale crisi della sinistra – non solo italiana – è dovuta alla perdita dell’identità piuttosto che agli hacker di qualsiasi colore.