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La strada come fosse il palcoscenico. Il pubblico attende, si siede sulle panche, conversa della vita e del tempo. Appare Tiresia sulla porta. Chi sono io? Chiede e inanella parole a filastrocca, romba frasi a punto di domanda e chiosa. Prende il tempo e si poggia sulle risposte, talvolta timide, altre sussurrate. Ognuno ha nel cuore un pezzo di risposta e di domanda, in un intreccio sapiente, come dita in preghiera.
L’ascolto merita la preghiera all’incanto. E merita la sua attesa.
Il palcoscenico si popola di passanti e silenti, di un popolo con i lucciconi agli occhi, disposto a sfidare la sorte e a vincere ogni timore, infilandosi nel cuore di Vald’O, in via Dante Alighieri 81, nel luogo magico per definizione, che accoglie. E accoglie l’arte che si affaccia e chiede spazio. Ottenendolo quanto ne desidera, tra libri e vino, tra un mondo di suggestioni e una vecchia botte poggiata al muro.
Su quella botte la danzatrice si fa dea.
La musica di stelle e tintinnii. L’antica bianca divinità frammenta i suoni con le dita. Dolcemente culla l’entrata, e Tiresia tira dietro di sé le persone che abbandonano un palcoscenico per l’altro.
La dea della danza si scioglie nel suo sonno, barcolla e solleva lo sguardo. Ondeggia come un flettersi bello di salice piangente, si capovolge e prende con sé ogni spazio, ogni incontro, ogni lieve brusio del tempo.
Gli occhi rapiscono e sono di amore questi sguardi poggiati. Frammenti di mille ricordi.
Fuori la notte è calda. Le persone camminano – quello è un palcoscenico, ed è anche attraversamento, incanto e silenzio – e si chiedono come mai. Fuori la notte è ferma e nessuno fiata. La poesia è sospensione, sulle punte della vita la danzatrice dea è nell’aria e negli occhi di tutti. Con amore e delicatezza.
Quando si spoglia per fare dei suoi vestiti un cuscino, il pubblico sogna.
La divinità ha una voce nuda e potente. Percuote il suo ritmo, di cuore e delicate sensazioni che si sparpagliano tra i viandanti in attesa, sempre in attesa. Petali e profumo, note e inatteso.
Perché l’inaspettato – quello che caccia via ogni cosa di aspettato che c’è nella vita e costruisce con questa azione lo spazio più puro della felicità – è appostato sul cristallo della cisterna. In piedi, equilibrio instabile tra cielo e terra. Tra terra e acqua, tra profondità e sublime orale preghiera e teatro di poesia. Lì torniamo, all’attesa delle dita incrociate, alla leggiadra passione che si sprigiona nella voce di Ecuba.
L’azione poetica è un coltello piantato sul fianco. Lei lascia che tutto prenda il volo, ogni senso, ogni battito di cuore, ogni speranza e ascolto. Fuori il palcoscenico è il deserto della vita. Dentro l’arte scava lo spazio con la potenza inaudita della parola. Scava e il desiderio scivola nel labirinto che avviene in ogni ascolto. Scava e ogni persona, ogni uomo o donna o bambino si concede l’istante dolce e materno della voce che arriva e irradia. Potenza dell’arte.
Un attimo dopo il mondo è cambiato. Il mio, il tuo, il mondo di ogni viandante, del passante casuale e dell’ultimo che si è seduto sul gradino di pietra e resta attonito. Il non capire è principio magnifico, non si deve capire sempre tutto. Ma tutto arriva e agisce.
Il segreto è questo. Nessuna didascalia, solo barbare randagie furie di magie dimenticate e vive in questo contemporaneo che è il qui e ora della nostra vita.
Questo a San Quirico d’Orcia, una sera d’estate furibonda.
PS
Personaggi e interpreti: Tiresia è Andrea Peracchi, l’antica bianca divinità è la musicista Danila Massimi, la dea della danza è Alessandra Cristiani, Ecuba è Ilaria Drago. Lo spettacolo anarchico in un festival magnifico e improvvisato si intitola Metamorfosi, elegia per donne randagie. Imperdibile. [La foto di copertina è di Cristina Latini]