
La guerra ferragostana del petrolio. Basta guardare una carta geografica per capire: i Paesi dove si estrae più petrolio, concorrenti e spesso nemici tra loro, hanno però una comune via di mare per esportarlo. Logica da ragazzini di cortile, se non fai passare il mio petrolio, neppure il tuo passerà.
Il ‘petrolio cattivo’, da sanzionare, per alcuni sarebbe quello iraniano.
Arbitri autonominati a decretare la punizione, Stati Uniti e dintorni arabo israeliani.
Tehran, secondo logica elementare, ripete che, se a causa delle sanzioni americane l’Iran non potrà vendere il suo petrolio, allora nessuno nella regione potrà farlo, almeno non attraverso lo Stretto di Hormuz, e anche da quello di Bab al Mandab, Yemen sulla destra a salire verso il Maro rosso e Suez.
«L’Iran ha accesso al Golfo Persico, allo Stretto di Hormuz e al Golfo di Oman. O tutti vendono il petrolio o nessuno lo farà. L’Iran ha la capacità (di bloccare Hormuz) e gli americani lo sanno», ha ribadito ieri Seyed Hossein Naghavi-Hosseini, portavoce della commissione del parlamento iraniano per la sicurezza nazionale e la politica estera.
E che l’Iran faccia sul serio lo dicono anche le esercitazioni navali che la Guardia rivoluzionaria ha cominciato ieri -cronaca di Michele Giorgio, Nena News- esibendo 50 imbarcazioni piccole e veloci per dimostrare di essere in grado di chiudere lo Stretto da dove passa circa il 15% del petrolio mondiale. Oltre 30 anni fa, durante la guerra tra Iran-Iraq, le imbarcazioni, spesso dei semplici motoscafi, dei Pasdaran iraniani armati di lanciarazzi, furono in grado di ostacolare per un lungo periodo il passaggio delle petroliere per Hormuz».
«Resistenza economica intelligente», la chiamano a Teheran, per vanificare le sanzioni statunitensi. Ma tutto questo è teoria e minaccia diplomatica. In mare è altra storia, lungo l’antica ‘costa dei pirati’. Ad esempio nello Stretto di Bab al Mandab, che domina il Mar Rosso, sud ovest dell’Arabia saudita. In appoggio all’alleata Arabia saudita, che vede il suo traffico commerciale messo in pericolo dai razzi in possesso dei ribelli yemeniti sostenuti da Tehran, Israele mercoledì ha lanciato un avvertimento. «Se l’Iran cercherà di bloccare lo stretto di Bab al Mandab, si troverà di fronte a una coalizione internazionale determinata a impedirgli di farlo, e questa coalizione includerà anche lo Stato di Israele e tutte le sue armi», ha ammonito il premier israeliano Benyamin Netanyahu, che cerca qualsiasi occasione contro l’Iran.
Nel Golfo la possibile scintilla della guerra all’Iran di cui si parla da anni. La minaccia sullo stretto di Hormuz, ma adesso anche Bab al Mandab come possibile pretesto per l’attacco statunitense-arabo-israeliano all’Iran. Con Israele pronto a mettere a disposizione delle petromonarchie sunnite il suo enorme potenziale bellico, contro il nemico comune sciita. Il peggio di contorni religiosi per un guerra già pericolosissima. A dare un ulteriore ‘aiutino’ verso la guerra, il ministro della difesa israeliano Lieberman, che ora denuncia anche minacce dirette proprio allo Stato ebraico, di cui nulla s’era mai saputo. «Di recente abbiamo appreso di minacce (?) indirizzate proprio alle navi israeliane nel Mar Rosso. Le nostre forze armate sono pronte a rispondere simultaneamente su due fronti, e anche sul Mar Rosso». Preavviso di dichiarazione di guerra.
Minacce ignote a navi israeliane, attacchi noti e ripetuti invece, al traffico commerciale dell’Arabia saudita, che gestisce la guerra massacro nello Yemen. La scorsa settimana la petroliera saudita Arsan, con un carico di due milioni di barili di petrolio diretta in Egitto, è stata colpita da missili vicino al porto yemenita di Hodeida, in mano ai ribelli sciiti, dove in questi ultimi mesi si sono concentrati i pesanti bombardamenti sauditi e degli Emirati Arabi Uniti. Secondo fonti americane, la nave cisterna sarebbe stata colpita da un missile iraniano lanciato dai ribelli. Dopo l’attacco i sauditi hanno interrotto la navigazione delle loro petroliere. Ad oggi, nessun altro esportatore ha seguito l’esempio. Un blocco completo dello stretto fermerebbe circa 4,8 milioni di barili al giorno il petrolio verso l’Europa e gli Stati Uniti, con le navi costrette a fare il giro dell’Africa.
Guardate cosa scrive Breitbart News, sito di informazione dell’estrema destra americana; Steve Bannon per intenderci. «Un eventuale sbarramento dello stretto di Hormuz con mine, piccoli sottomarini, attacchi di barche e missili terrestri, sarebbe sconfitto in poche settimane dagli Stati Uniti e dalle forze navali alleate. Sarebbe anche il casus belli per gli Stati Uniti per un attacco molto più ampio contro bersagli militari e altri obiettivi iraniani». Tra analisi ed auspicio. E mercoledì le sei petromonarchie del Golfo, il Consiglio del Golfo, ha fatto sapere di non meglio precisati “piani di emergenza” per assicurare il flusso del petrolio nel caso in cui l’Iran chiuda lo Stretto di Hormuz. Ma guarda il caso, sempre Breitbart: «Funzionari militari sottolineano che se ci sarà un’azione militare, essa verrà eseguita da altri paesi, tra cui l’Arabia Saudita, il Bahrain, il Kuwait, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), e non dalle forze statunitensi».