Derive e memoria: in un libro l’affresco di Centocelle

Si parla spesso di cultura, di informazione e di che cosa si può fare per uscire dal tunnel buio che abbiamo imboccato, fatto di conoscenze zero e arroganza mille, di false informazioni e sciocchezze cavalcate sui social come fossero destrieri meravigliosi. Oggi scrivo su un libro, su un piccolo grande libro che è uscito in queste settimane, si intitola “Centocelle”, l’ha scritto Pancrazio Anfuso per i tipi di Jacobelli editore. L’ho letto in anteprima, anzi prima che Pancrazio scrivesse una sola riga, perché questo libro parte da un progetto di narrazione, sperimentale, che avevamo cominciato con Antonio Cipriani per Emergenze, rivista della quale ero direttore responsabile.

Da anni, in tanti posti d’Italia, con incontri, lavoratori e azioni culturali, lavoriamo per ricostruire un’idea di narrazione non banale, per un’informazione che possa guardare lontano con i piedi sul territorio. Coltivare cultura, si chiama questo progetto di lunga durata. Ha il senso del coltivare e non del semplice raccogliere produzioni, idee, format pensati da altri.
In quell’occasione giovani e meno giovani, più o meno capaci, si sono misurati sul sito con le idee di una narrazione territoriale che partisse dal proprio vissuto. Quindi, non analisi scopiazzate sul caso Trump, ma incontro con le persone in carne ed ossa, sui luoghi dell’abitare. Su questo continuiamo a insistere in Magnifica Terra, ma oggi vi parlo di “Centocelle”.

Pancrazio scrisse pezzi sublimi sul terremoto di Amatrice e cominciò una serie di narrazioni sul quartiere romano dove era nato. Un bel lavoro, che ho letto e commentato con lui dal primo pezzo sugli hipster che scelgono Centocelle, nel menefreghismo locale. Oggi che le persone comprano il suo libro e che Centocelle impazza nella classifica delle nostre vendite, dico che è importante. Davvero è importante lavorare defilati sui territori, riprendere a scrivere attraverso la conoscenza reale, usando il camminare stile deriva, il colpo d’occhio, la suggestione, l’incrocio magico tra passato e presente, il nostro corpo.

Troppo tempo sui social diminuisce la capacità di ascoltare, privilegia l’affermare. Questo libro è bello perché ha i piedi per terra, perché naviga nei tempi, ti prende per mano e ti coinvolge in un racconto sincero. Si tratta di giornalismo, perché ha la lentezza e la profondità dell’inchiesta. Perché è scritto bene. Perché ha coraggio.
E senza coraggio oggi non serve a niente fare cultura.

Altri Articoli
Remocontro