
Exit prima Gran Bretagna o Theresa May? Colpo da ko, o quasi, per il governo conservatore britannico di Theresa May: il ministro per la Brexit, David Davis, elemento chiave della compagine, ha annunciato stanotte le dimissioni dall’incarico in polemica con la svolta verso un negoziato più soft con l’Ue strappata in questi giorni dalla premier. Davis, esponente di punta della corrente Tory euroscettica, ha deciso, dopo qualche giorno di riflessione, di non poter evidentemente accettare la nuova strategia più ‘conciliante’ nei confronti di Bruxelles che May aveva imposto al consiglio dei ministri solo venerdì scorso. Le dimissioni del ministro, in attesa dell’ufficializzazione di Downing Street e della nomina di un sostituto, sono al centro del dibattito politico.
Davis, finora responsabile per il governo britannico dei negoziati sul divorzio con l’Ue, aveva sottoscritto venerdì – come tutti gli altri ministri – il compromesso proposto da Theresa May per cercare di sbloccare le trattative con Bruxelles. Compromesso sgradito ai ‘brexiteers’ ultrà del suo stesso partito, considerato da qualcuno alla stregua di un ‘tradimento’ del risultato del referendum del 2016 e improntato a un’apertura sull’ipotesi di creazione di un’area di libero scambio post Brexit, regole comuni almeno per i beni industriali e per l’agricoltura, oltre che alla definizione di nuove intese doganali con l’Ue. Concessioni interpretate dalla corrente dei falchi come un cedimento, ma su cui la premier sembrava aver ricomposto una fragile unanimità ora rotta da David Davis.
L’uscita di scena del ministro per la Brexit rischia di essere in effetti l’inizio di un effetto domino, a cadute successive. Il primo a seguire potrebbe essere il titolare degli Esteri, l’incontenibile Boris Johnson, in grado di mandare in pezzi l’esecutivo, la maggioranza e la compattezza molto incerta del Partito Conservatore. Con tanto di scenario incombente di elezioni anticipate. E le reazioni non si sono fatte attendere. Dal fronte dei ‘brexititeers’, corrente Tory euroscettica, plausi al gesto “coraggioso e da uomo di principi” di Davis. Applausi interessati da parte di uno schieramento che, prevedono molti analisti di cose britanniche, danno già per scontata una sfida imminente alla leadership Tory della May. Far fuori Theresa prima di perdere le elezioni col Labour.
La lunga, faticosa trattativa tra Ue e Gran Bretagna che si trascina da mesi e logora tutto e tutti. Col piano soft per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sembrava che le tensioni nel governo potessero calare. E invece no. Davis era stato nominato due anni fa per dirigere il Dipartimento per l’uscita dall’Unione europea dopo che il 51,9% degli elettori inglesi aveva votato Leave, ‘lasciare’, al referendum del 23 giugno 2016. Davis è stato così il volto pubblico della Brexit, guidando la delegazione britannica in trattative con Bruxelles, anche se il suo ruolo era stato più oscurato negli ultimi mesi. Davis aveva più volte minacciato di smettere più volte contro la asserita ‘mancanza di fermezza’ nella posizione negoziale della Gran Bretagna, pur rimanendo al governo.
May, alla vigilia di un difficile confronto in parlamento sul suo piano su come regolare lo scambio di merci dopo la Brexit, da una parte, deve fronteggiare la rabbia dei parlamentari del suo stesso partito che vogliono una taglio più netto; dall’altra, la pressione delle imprese che anche così potranno subire danni economici. Non è affatto certo che Bruxelles avrebbe accettato la proposta May, avendo ribadito più volte che la Gran Bretagna che non può scegliere di difendere la parte che le serve del mercato unico e buttare via il resto. Intanto il Labour di Jeremy Corbyn guadagna terreno. Sondaggio dell’istituto Survation dice che in caso di elezioni i Laburisti otterrebbero il 40% (+2 punti) mentre i Tories sono dati in calo al 38 (-3), con gli eurofili LibDem al 10%.