Luca ha le mani grandi, la faccia bonaria e il sorriso che si stampa delicato sui lineamenti da vignaiolo. Come sono i lineamenti da vignaiolo? Io li conosco, i miei vengono dalla terra, mio padre l’ho visto curare e amare le vigne come fossero divinità. Anche lui ha mani callose e le rughe del sole disegnano il suo sguardo. Ha un rapporto con la terra, col paesaggio, con l’orizzonte che si vede dalle vigne di amore e vita.
Luca a sedici anni ha lasciato il suo podere a Poggio Grande. Non aveva acqua né elettricità. Ha viaggiato, lavorato, imparato mestieri, conosciuto la vita. Poi è tornato. Con una visione del mondo, con il coraggio nel cuore, la voglia di sperimentare, ma nel suo podere. Guardando dalla sua terrazza naturale, seduto al tavolone di legno, i profili distanti delle colline che da Montalcino si allontanano nell’orizzonte, oltre la valle dell’Asso. Dall’altra parte della strada si vede la Rocca, e distante la Valdorcia si stende languida nella valle dell’Orcia.
A cavallo di due valli ora Luca Zamperini lavora la sua terra speciale, coltiva uva con metodi antichi e innovativi, produce vini sovversivi, riconoscibili tra mille. Di una qualità rara. Perché vini veri, dell’Orcia. Insieme a Giulitta, una ragazza bella dagli occhi trasparenti, gestisce l’azienda e dice: da cinque generazioni siamo qui su a Poggio Grande.
Lo osservo mentre sorseggio un suo vino, ne colgo il profumo intenso, osservo il colore rubino del rosso, ma resto affascinata dalle sue mani che disegnano il vino che racconta. E in ogni bicchiere si coglie la meraviglia del rapporto dell’uomo con la sua terra. Del vignaiolo, cittadino, uomo intelligente con il suo territorio, con l’abitare nella Valdorcia.
Accanto alla cantina tre cavalli si rincorrono. La femmina comanda, gli altri due la seguono. L’altra passione di Luca sono proprio i cavalli. Li ha da sempre, li alleva per il Palio, gli scintillano gli occhi quando parla del suo legame con Aceto, con il quale ha diviso amicizia, vino, pane e prosciutto. Sarà per questa suggestione ma la meraviglia di un vino come lo Scorbutico, oltre che dal nome, viene dal fatto che sull’etichetta corre un cavallo nero, con la criniera al vento. Libero. Scalpitante.
I vini non si devono ingabbiare. Devono esprimersi. Luca sorride e strizza gli occhi come se ci fosse sempre un sole alto all’orizzonte. Quando ti dà la mano ti porge l’avambraccio perché, dice, le mani sono sporche.
Io gli tocco l’avambraccio e brindo alla sua classe. Con i suoi vini dell’Orcia. Veri, profondi e profumati. Da amare. In occasione del Solstizio d’Estate brinderò con lui e con Giulitta e con tutti quelli che vorranno, vicini o lontani, perché sui suoi vini splende il sole e come sottrarsi dal rito il giorno in cui c’è più luce durante l’anno? Contro le tenebre del tempo culturale, è necessario.