I libri di Annie Ernaux li ho letti a caso. Anzi no. Come dice il mio amico erborista e un po’ stregone Luigi Giannelli: non a caso, perché che cosa è il caso? C’è un ordine cosmico che guida ogni destino. Così, in questa primavera così ventosa e piovosa, i libri di Annie mi sono saltati in mano per via di quell’esercizio a me sconosciuto che è l’ordine delle cose che accadono, figuriamoci poi se è cosmico.
Ancora oggi non so neanche in che ordine lei ha scritto i suoi libri, potrei andare a controllare, ma mi va benissimo così. Perché la sua scrittura così delicata e interiore ripercorre. Percorre e ripercorre strade, paesaggi, punti di vista, luoghi della memoria e del possibile.
Ripercorre e reinventa ipotesi, traiettorie esistenziali, sentieri che non conducono da nessuna parte ma che spalancano qualunque mondo. Per questo fatico a pensare che si tratti di libri autobiografici. C’è poesia, e mi piace. Una prosa narrativa elegante e sensibile. Come leggessi un diario, il suo. Ma anche il mio. Senza seguire l’ordine del tempo, senza scorrere le pagine, ma saltellando qua e là.
Non trovo niente che mi faccia pensare a un qualcosa che ho precedentemente letto. La sento, questa Ernaux, innovativa e in qualche modo rivoluzionaria. E mi piacciono anche le sue copertine, le copertine pastello dell’Orma, capaci di rendere semplice la lettura. Non è poco in tempi così privi di luce.
Ho cominciato da Una donna, il libro di cui oggi tutti parlano. Io l’ho preso dalla libreria, l’ho letto tutto d’un fiato… Poi Il Posto dove è apparsa la figura del padre contadino, poi operaio, poi commerciante o bottegaio per meglio dire. Ricordi appesi a tante strade della nostra vita, la battaglia infinita tra la classe dominante e quella dominata, la giustizia e l’ingiustizia in un percorso fluido, elementare. Lei ne parla così: è il libro della riparazione.
Quindi L’altra figlia, una lettera aperta alla sorella a cui Annie dice: “Io non scrivo perché tu sei morta. Tu sei morta perché io scriva”. Memorie di una ragazza, ecco. “Mi sono messa davanti a una mia foto scattata poco prima della maturità e, come accade a molti, ho cominciato a interrogarmi su chi fosse quella ragazza che mi guardava: ero io e allo stesso tempo non ero più io. La scrittura di questo libro è stato il tentativo di ricongiungere la prima persona singolare con quel ‘lei’ che ho utilizzato per parlare della ragazza del 1958. Per farlo ho dovuto anche dover azzerare ogni giudizio morale nei confronti delle sue azioni, inserendole nel contesto sociale e nella moralità del suo tempo”. Così di se stessa la Ernaux…
La immagino che scrive accanto a una finestra che guarda sulla campagna, lontano fino al fiume. Accanto dormono due gatti, Sam e Zoe. La immagino forte e delicata mentre spiega che cosa deve fare la letteratura in questa epoca: “Sbarazzarci delle ombre. E mettere via un po’ di vita, salvandoci dalla sparizione futura. È già questa la salvezza. Non voglio concentrarmi su una fede, non voglio strizzare l’occhio al lettore, non posso concepire opere che vadano incontro all’opinione pubblica come ha tentato di fare Houellebecq con Sottomissione, che ho deciso di non leggere più anche per come tratta il corpo femminile.
Scrivere, senza pensare a cosa diranno gli altri: è questo che chiedo. Scrivere nel silenzio della mia casa, sola, per lottare contro la lunga vita dei morti”.
E noi, presi dal vento delle cose che accadono perché devono accadere, siamo testimoni e narriamo, tra virgolette, quello che ci attraversa il cuore.