
News da agenzie: ‘Il presidente venezuelano Nicolas Maduro è stato rieletto con oltre 5 milioni di voti, su poco più di 8 milioni di voti (pari al 46% degli iscritti) espressi durante le elezioni di ieri’.
Affluenza ufficiale, un crollo rispetto alle ultime presidenziali del 2013, quando è stato del 79,69%, e alle ultime politiche di dicembre del 2015 con il 74,17%.
Anche per Maduro i risultati non risultano entusiasmanti, perché ha perso 1,7 milioni di voti dalla sua prima elezione nel 2013 -da 7,5 a 5,8 milioni- quando si impose su Henrique Caprile per poco più di 200 mila voti.
Polemiche subito
“Stiamo ottenendo il 68% dei voti, con 47 punti di distanza dal candidato che mente”, ha esultato Maduro nel suo primo discorso dopo l’annuncio della rielezione riferendosi all’oppositore Henri Falcon, che ha dichiarato di non riconosce la legittimità del voto.
“Il bugiardo respinge i risultati prima che siano stati dati: la prima volta nella storia. Non c’è più onore; non c’è molto che ci si possa aspettare da questa opposizione”.
Henri Falcon, il rivale: “Un voto indubbiamente privo di legittimità e in quanto tale non lo riconosciamo”, aveva detto il 56enne ex governatore chavista, che ha rotto il boicottaggio dell’opposizione e aveva dato legittimità a un voto che i critici in patria e fuori avevano condannato in anticipo.
Pochi minuti dopo l’apertura delle urne, un appello al Paese era stato lanciato da papa Francesco. “Desidero dedicare nuovamente un particolare ricordo all’amato Venezuela. Tutti si adoperino nella ricerca di soluzioni giuste, efficaci e pacifiche alla grave crisi umanitaria, politica, economica e sociale che sta stremando la popolazione, evitando la tentazione del ricorso a qualsiasi tipo di violenza”, aveva detto il pontefice.
“Incoraggio le autorità del paese – ha aggiunto – ad assicurare il rispetto della vita e dell’integrità di ogni persona, specialmente di quelle che, come i detenuti, sono sotto la loro responsabilità”.
È un Venezuela in fiamme, di contrapposizioni forti con le elezione ridotte ad un’altra tappa di una guerra politica ed economica tra due fazioni: i sostenitori del presidente Nicolas Maduro e gli oppositori frantumati, uniti solo dall’avversione al governo. In gioco il futuro di 31 milioni di abitanti di un Paese ricchissimo di petrolio e poverissimo di tutto il resto. Ma il vero ‘grande gioco’ coinvolge gli equilibri geopolitici delle Americhe, rispetto alla forniture energetiche. Interessi e alleanza contrapposte.
Cina, Russia, India e Cuba, a favore di Maduro.
«Stati Uniti vicini all’opposizione che si nutre della speranza di un soft-ribaltone, sostenuto appunto da Washington che venerdì per la prima volta ha accusato Maduro in persona di profittare del narcotraffico», ricorda Roberto Da Rin su il Sole24Ore.
Il realtà tutti i candidati -e anche molti analisti e osservatori esterni- guardano più alle alleanze politiche internazionali che al risanamento economico del povero Venezuela. In un Paese travolto da un dramma sociale ed economico e dilaniato dalle ideologie. Il socialismo del XXI secolo, invenzione dell’ex presidente Hugo Chavez, o l’ultraliberismo degli oppositori, incorporano una forte componente ideologica.
Servono invece riforme radicali, anche queste ovviamente contrapposte.
Versione vicina al governo: la diffusione del “petro”, il bitcoin venezuelano, misure contro la speculazione finanziaria, un sistema di produzione che che tagli gli artigli ai potentati economici.
Versione liberista: più fiducia al mercato, meno statalismo, attenzione alla spesa pubblica e meno sussidi e servizi sociali affiancati da un rilancio dell’iniziativa privata. Comunque sia, cambio profondo necessario, prima che esploda tutto.