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Difesa europea, pioggia di miliardi, Nato ma non troppo

Difesa comune europea

Ci sono voluti decenni di discussioni e il superamento di veti incrociati ma alla fine l’Unione Europea ha imboccato la strada per una difesa militare comune. Questo è, almeno nelle intenzioni, il sentiero tracciato da Bruxelles che in questo modo mette in pratica l’accordo di cooperazione strutturata e permanente per la difesa e la sicurezza che va sotto l’acronimo PeSCo, siglato lo scorso anno.
Il 2 maggio scorso infatti è stato annunciato un piano di investimenti per la difesa di almeno 20 miliardi di euro. Tanti soldi che verranno spalmati sul bilancio a lungo termine dell’Unione fino al 2027.

Nuove minacce

Le fonti e le analisi prodotte rintracciano le cause di questa accelerazione per una difesa comune nel crescente attivismo russo nello scacchiere geopolitico, come nel caso dell’annessione della Crimea del 2014, e nella necessità di affrontare minacce diverse dal passato: gli attacchi informatici che vengono attribuiti al conflitto tecnologico intrapreso da Mosca.
Una direzione confermata dal vicepresidente della Commissione per l’occupazione, la crescita e gli investimenti Jyrki Katainen: «Gli stati membri si sono resi conto che l’attuale stato di avanzamento è insostenibile», sottolineando che l’Europa è cronicamente in ritardo su questo settore.

Piano finanziario

Si tratta dunque di un piano finanziario che rientra comunque nel budget europeo complessivo previsto nella cifra di 1.279 trilioni di euro per il periodo 2021-2027, 19,5 miliardi sarà appunto la cifra stanziata per il riarmo.
Nel dettaglio, 6,5 miliardi saranno destinati a quella che viene definita come “mobilità militare”, in sostanza si tratta della capacità di trasferire in tempi brevi, sui teatri di conflitto, le truppe e le armi, molto più facilmente di quanto sia possibile ora. Una necessità indicata diverse volte dai comandanti Nato. Ciò dovrebbe costituire un deterrente maggiore contro possibili monacce portate dall’esterno.

Fondo europeo di difesa

La maggior parte del denaro però, andrà a confluire in quello che è chiamato Fondo europeo di Difesa e presentato già nel giugno dello scorso anno. 13 miliardi ottenuti dal pressing franco-tedesco e ritenuti necessari dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.

Il Fondo mira a evitare duplicazioni nella spesa militare dei vari stati membri mettendo in comune le risorse. L’80% degli appalti e il 90% della ricerca è infatti portata avanti all’interno dei confini nazionali. Una messa in comune dei finanziamenti potrebbe far nascere degli standard efficaci sul piano operativo. Se paragonata agli Sati Uniti, che sono in grado di schierare sul terreno almeno 200.000 uomini, l’Europa può mobilitare “solo” 40.000 soldati.

Robot e droni

Particolarmente interessante è la parte di denaro (4,1 miliardi) che il Fondo dovrà usare per sviluppare la ricerca e il lavoro per la realizzazione di nuove armi a guida robotica e i droni. Naturalmente grande importanza riveste ancora l’apparato relativo all’hardware, cioè la produzione di carri armati e elicotteri. In questo caso i paesi europei potranno contare su quasi 9 miliardi di euro.
Dal punto di vista politico bisogna innanzitutto registrare il rifiuto di firmare l’accordo, annunciato da tempo, da parte di Danimarca e Malta e naturalmente dalla Gran Bretagna ormai avviata sulla strada della Brexit. Il riamo comunque, come tengono a  precisare da Bruxelles, non prelude alla costituzione di un vero e proprio esercito europeo.

Il sostegno alla Nato

Il nuovo apparato militare infatti integrerà la Nato, si tratta di una cooperazione tra i membri Ue che non mira a sostituirsi all’Alleanza Atlantica a guida statunitense.
L’aumento delle spese per la difesa è stata, almeno apparentemente, accolta con favore dal capo dell’Alleanza Jens Stoltenberg il quale già nel dicembre scorso aveva dichiarato di accogliere « con favore l’iniziativa di rafforzare la difesa europea perché positiva per l’Unione europea, per l’Europa e per la Nato».
Anche se il vertice militare ha anche avvertito che i progetti PESCO devono funzionare in armonia con la Nato stessa evitando che esistano requisiti Ue contrastanti con l’Alleanza Atlantica.

Il pressing di Trump

Sicuramente però non sono passate inosservate le critiche del presidente Usa Donald Trump il quale, negli ultimi tempi, ha più volte sottolineato quello che sarebbe lo scarso impegno finanziario europeo nel contribuire alla difesa del blocco occidentale che dovrebbe ammontare al 2% del pil.
Tradotto si potrebbe dire che l’atteggiamento statunitense, ha forse generato dei timori nel vecchio continente circa l’impegno americano nell’aiuto in caso di una crisi militare. In questo senso sono significative le parole del presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker: «l’Europa non può e non deve esternalizzare la sua sicurezza e difesa».

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