Cina potenza navale, dal Pacifico all’Oceano Indiano

Le isole inventate

Cina potenza navale. Da qualche anno ormai, guarnigioni e installazioni delle forze di Pechino sulle isolette delle Spratly, l’arcipelago che la Cina rivendica col nome di isole Nansha. Nelle ultime settimane i cinesi hanno rivendicato la loro sovranità su quelle acque, contro Stati Uniti d’America e Paesi rivieraschi, dal Vietnam alle Filippine. Mirko Molteni su Analisi Difesa cita alcuni tra i molti episodi di scontro con portaerei Usa esibite in Vietnam per mostrarsi a Pechino, e altre esibizioni di muscoli per fortuna senza prove di forza vere.
Ma nelle scorse settimane la Marina Popolare Cinese si è a sua volta esibita, e nelle acque delle Spratly hanno incrociato ben 40 navi, fra incrociatori, cacciatorpediniere, sottomarini e unità d’appoggio, a fare corona attorno alla portaerei Liaoning, l’orgoglio della flotta di Pechino alla quale si vogliono far seguire altre tre unità portaerei entro i prossimi sette-otto anni.

Le porte del petrolio

Perché i cinesi tengano in così gran conto le Spratly, più le vicine Paracel, si intuisce osservando una carta geografica della regione. Isole preziose basi d’appoggio a poche ore di volo da due fra i maggiori punti di passaggio tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano. In caso di una guerra della Cina contro i suoi vicini, il possibile blocco del canale di Suez e la fine della comoda scorciatoia del Mar Rosso. L’abbondanza di punti di appoggio cinesi nelle isole è ormai tale da farle definire una “Grande Muraglia di sabbia”, nugolo di atolli sabbiosi appunto, che assicurano alla Cina il controllo degli accessi all’Oceano Indiano.
I numerosi aeroporti avanzati sulle isole Spralty e Paracel, di cui la maggior parte con pista di lunghezza notevole, sui 3.000 metri, indicano chiaramente che un cardine della strategia cinese nella regione attraverso l’impiego dell’aviazione.

Cina potenza navale

Il caposaldo cinese a guardia degli ingressi del Pacifico per le navi provenienti dall’Oceano Indiano definito da Mirko Molteni, «un rompicapo per gli americani e per la stessa India, che vede con preoccupazione anzitutto la prima base militare cinese all’estero, aperta nel 2017 a Gibuti, sul Corno d’Africa, proprio a guardia dello stretto di Bab el Mandeb, fra il Golfo di Aden e il Mar Rosso». La base di Gibuti è relativamente piccola, con apertura ufficiale il 1° agosto 2017. Estesa solo mezzo chilometro quadrato, ospita 300 uomini ed è più che altro uno scalo navale, comunque importante perlomeno per le missioni antipirateria. Ma l’India teme soprattutto il possibile stabilirsi di basi militari navali cinesi anche in Pakistan, a Jiwani, vicino Gwadar, e perfino nell’attiguo Sri Lanka.
L’11 dicembre 2017, il governo cingalese ha ceduto ufficialmente, per 99 anni, il controllo del porto commerciale di Hambantota alla società cinese, controllata dallo stato, China Merchants Port Holdings.

L’India ‘assediata’

A metà aprile 2018, l’aviazione indiana ha tenuto la sua maggior esercitazione, con l’impiego di 1.100 aeroplani, velivoli da combattimento, trasporto, ricognizione. Lo scenario operativo era quello di una guerra estesa sia lungo i confini col Pakistan, tanto da prevedere voli sul deserto del Rajastan, sia lungo i confini settentrionali con la Cina. Ma si sono tenute anche missioni in coordinazione con la Marina e i caccia imbarcati sulla portaerei Vikramaditya. Gli indiani temono sopratutto la possibile apertura di una vera e propria base militare cinese, la seconda all’estero dopo la piccola Gibuti, proprio sulle coste del Pakistan, a Jiwani, non troppo lontano dal già esistente porto commerciale di Gwadar.
Secondo la stampa americana, i cinesi hanno in progetto di realizzare una grande base aeronavale sulla penisola di Jiwani, che si estende 80 km a Ovest del grande porto di Gwadar, a circa 34 km dal confine con l’Iran.

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