
Armenia, Ucraina del Caucaso? La trascurata Armenia, nuova potenziale bomba politico strategica del cuore del Caucaso, regione che anche quando sta tranquilla, qualche inquietudine la suscita sempre. «Tornano ad addensarsi pesanti nuvole nere nel cielo di Erevan», avverte Yurii Colombo sul Manifesto. La speranza che le dimissioni del premier ed ex pluri presidente Sargsyan potessero portare a una transizione ordinata, dopo dieci anni di regime clientelare e corrotto, sembrano purtroppo tramontare.
Un nuovo primo ministro incaricato, Karapetyan, e il leader dell’opposizione, Pashinyan che si ignorano persino alle commemorazioni per ricordare il genocidio del 1915 e quel milione e più di armeni uccisi. Il partito del contestatissimo ex leader Sargsyan -Partito Repubblicano- con la maggioranza in Parlamento, e Pashinyan, che ha dalla sua la piazza, che è tornato a chiedere la poltrona di primo ministro e l’immediato scioglimento del parlamento.
Pashinyan si è quindi appellato ancora alla popolazione, proclamando una nuova mobilitazione generale. «Hanno sacrificato il presidente Sargsyan pur di non cambiare nulla. La lotta non è ancora finita», ha dichiarato. Cortei e blocchi stradali, compresa l’autostrada per la Georgia e quella che porta all’aeroporto, assedio del parlamento. Rischi di provocazioni incrociate che possano far esplodere le manifestazioni sino ad oggi sostanzialmente pacifiche, che crescono di giorno in giorno.
Braccio di ferro sugli equilibri interni ma guardando fuori casa. Nikol Pashinyan, l’oppositore da ‘rivoluzioni colorate‘ che già hanno segnato l’area negli anni recenti, ha sempre dichiarato di voler allineare il paese all’Occidente. E ufficialmente ieri, 25 aprile, ha incontrato emissari dell’Ue e -dicono le cronache- ha ha ricevuto parole di incoraggiamento dal Dipartimento di Stato americano.
Nikol Pashanyan, che già si sente premier cerca consensi in casa e sostegno esterni. Indicando subito i potenziali nemici. «Con la Russia abbiamo dei problemi, e non solo perché continua a vendere armi all’Azerbaigian». Problemi con le basi militari russe presenti in Armenia (secondo gli accordi siglati nel 2010 l’esercito russo potrà restare nel paese fino al 2044) ma Mosca, problema tutto armeno, dovrà chiarire quali rapporti intende mantenere con la Turchia. La tragedia di più di 100 anni fa posta al Cremlino, visti i decisivi rapporti con Ankara sulla questione siriana e vie del petrolio.
‘Mosca per ora mantiene la posizione prudente tenuta sin dall’inizio della crisi a Erevan’, annota Yurii Colombo. Peskov, portavoce ufficiale di Putin, augura che «il paese rimarrà nell’ordine e nella stabilità e che in un futuro molto prossimo, potremo comprendere quale sarà la nuova configurazione politica del paese». Nessun veto da parte Mosca, ma fate presto e senza stravolgere troppo, pare la traduzione
Peskov dichiara inoltre di non vedere alcun parallelo tra la situazione armena attuale e quella ucraina di quattro anni fa. Anche per scongiuro. Ma a Mosca qualcuno è in allarme, racconta Yurii Colombo. Un deputato alla Duma su Pashanyan: «fa il doppio gioco: per il momento vuole continuare ad ricevere il nostro petrolio per poi passare con l’Occidente». Diffidenza non del tutto campata in aria. Pashanyan ha dichiarato di voler uscire dall’Unione Euroasiatica a guida russa, anche se ha precisato, la decisione «dovrà essere sottoposta a referendum popolare».
Sullo sfondo la ferita ancora aperta del Nagorno-Karabakh, regione contesa tra Azerbagian e Armenia, repubblica indipendente di fatto, e contenzioso mai risolto. Tensioni in casa armena e il vicino azero si inquieta: «Non cercate di sfruttare la contingenza politica per annettervi la regione», minaccia il ministro vicino di casa, che rigetta l’accusa di Erevan di aver fatto ammassare alcuni reggimenti al confine. Segnali poco simpatici.