
A scherzare col fuoco si finisce col bruciarsi. Anzi, può capitare di ustionare irreparabilmente anche chi ti sta vicino, a cominciare dagli amici. É quanto sta capitando in Siria, dopo il presunto attacco chimico dei governativi di Assad a Douma. Gli Usa spediscono la prima nave da guerra e i russi rispondono sfiorandola a volo radente con i loro jet. C’è da farsi già venire i sudori freddi, Donald Trump ha deciso di agire come un toro infuriato. Troppo in fretta. Una fretta sospetta.
L’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassily Nevbenzia, e lo stesso Assad hanno chiesto che sia spedita subito in loco una commissione d’inchiesta, ma gli Stati Uniti hanno fatto sapere, per bocca della loro rappresentante, Nikki Haley, che agiranno comunque, indipendentemente da ciò che deciderà il Consiglio di Sicurezza. E così la puzza di bruciato di una diplomazia “parallela”, fin troppo avventurista, comincia ad arrivare in mezzo pianeta.
Come detto, gli Stati Uniti stanno schierando il caccia lanciamissili “Cook” al largo del porto siriano di Tartus (munitissima base russa) chiedendo anche agli alleati “di dare una mano”. E si dice che Parigi e Londra, almeno secondo fonti d’intelligence, la mano l’abbiano già preparata da tempo. Insomma, pare proprio che se la siano studiata, anche se non si capisce bene dove vogliano arrivare. Il timore, secondo diversi analisti, è che non lo sappiano nemmeno loro.
Intanto i russi contrattaccano, per ora solo a parole, come hanno fatto nel caso Skripal, l’ex spia avvelenata, non si sa da chi, in Inghilterra. Un tentato omicidio di Stato attribuito a Putin, con tanto di grancassa mediatica e di rovinosi effetti sull’equilibrio delle relazioni internazionali. Una bufala? Forse, perché i sospetti che sia stato montato tutto ad arte ormai si tagliano col coltello. E a Douma? Stessa musica. Anche qui si brancola nel buio e, dietro le dichiarazioni di facciata, ci sono molte perplessità.
Qualcuno sa, ma certamente non lo va a dire in giro, anche perché gli “spifferi” potrebbero avere un effetto boomerang. Gli stessi israeliani, dietro le quinte, sostengono come sia praticamente impossibile attribuire una “firma” agli eventi. Dove sembra che i “nervini” non centrino per niente e che si sia trattato di gas molto più rudimentali, come il cloro. Sostanza alla portata di tutti e che può essere stoccata e utilizzata da tutti. Certo, non bisogna avere studiato strategia alla Scuola di guerra, per capire come da Douma nascano concatenazioni che sollevano molti dubbi, per usare un eufemismo.
Già il mese scorso si parlava della possibilità di un attacco missilistico americano (con i Tomahawk) contro Assad, su pressioni del Pentagono. Abbiamo scritto, e lo ribadiamo, che i fatti di Douma calzano a pennello per giustificare il cambio di strategia della Casa Bianca.
Una rivoluzione anti-Iran e anti-russa che si è accentuata dopo l’arrivo al Dipartimento di Stato di Mike Pompeo e al Consiglio per la Sicurezza Nazionale di John Bolton. Due “duri e puri” della prima ora. Entrambi vogliono rimangiarsi il “gentlemen’s agreement”, il tacito accordo raggiunto da Trump e Putin per risolvere la guerra in Siria, ma soprattutto entrambi chiedono di usare la scopa di ferro contro gli ayatollah, accusati da Israele di voler sfruttare la ribellione contro Assad, per riposizionarsi ai piedi del Golan. Secondo il Cremlino, Douma è un incidente costruito a tavolino per giustificare l’intervento Usa contro l’Iran e per mandare all’aria l’accordo sul nucleare con Teheran, voluto da Obama. Il rischio è che per colpire i pasdaran di Khamenei e gli Hezbollah che li fiancheggiano, si finisca per scontrarsi con i russi. Sarebbe una catastrofe.
E proprio Trump ci sta trascinando in questo gioco al massacro. Lasciamo perdere francesi e inglesi, malati di protagonismo e frustrati dalla perduta “grandeur”. Ma la nostra speranza è che i tedeschi e soprattutto gli italiani non facciano da sponda a chi crede di giocare al “piccolo chimico della diplomazia” e rischia, invece, di far esplodere tutto il laboratorio.