
Steven Erlanger, giornalista di calibro, ‘chief diplomatic correspondent in Europe for The New York Times’, ci offre una lettura tutta americana dei fatti di casa nostra e dintorni. Ieri Steven, in trasferta a Sarajevo, Bosnia, dove è nata la prima guerra mondiale, avverte che la regione sta diventando un campo di battaglia in quella che sembra una nuova Guerra Fredda. La Russia, dicono alcuni analisti di scuola americana, starebbe espandendo la sua influenza favorendo le tensioni etniche in paesi che sperano di entrare nell’Unione europea. Ed è per questo, sempre valutazione NYT, che l’Unione europea ha deciso opportunisticamente di tornare a parlare di allargamento per i Paesi dei Balcani sinora esclusi.
Washington lancia l’allarme su presunti rischi per la sicurezza per i Paesi Nato attorno. Il NYT collega maliziosamente diversi elementi tra loro. «Dopo la concertata risposta occidentale all’avvelenamento in Gran Bretagna di una ex spia russa e sua figlia, i Balcani diventano ancora più importanti», dice Mark Galeotti, ricercatore senior all’Institute of International Relazioni a Praga. La Russia starebbe cercando ‘modi asimmetrici’ per vendicarsi, la versione. «La Russia guarda ai Balcani come un campo di battaglia nella sua ‘guerra politica’ cercando di creare distrazioni e potenziali elementi di contrattazione con l’Unione europea», è la versione accusatoria riferita senza valutazione critiche.
La Russia che approfitta dell’ultima parte dell’Europa occidentale fuori dall’Unione per infastidire, o peggio. Versione da Dipartimento di Stato, gestione Mike Pompeo. Elementi d’accusa citati: «l’Ucraina, dove la Russia inizialmente aveva convenuto che Kiev potesse aderire all’Unione europea e poi ha cambiato idea, portando alla rivoluzione che ha spinto Mosca ad annettere la Crimea e fomentare la secessione nell’Ucraina orientale». Passaggio logico abbastanza audace, la Russia che provoca la rivoluzione in Ucraina e non viceversa, come un bel pezzo di mondo ritiene. Nei Balcani, punto di crisi più esposto, Sarajevo, «che sta ancora uscendo dalla feroce guerra del 1992-95 che ha fatto a pezzi l’ex Jugoslavia».
Qualche dettaglio locale del collega che deva aver condiviso in qualche veloce occasione la Sarajevo assediata. Parla di una città ‘restaurata’, ma di un Paese fragile, lacerato dalla corruzione, leadership debole e tensioni etniche e nazionaliste tra le comunità. Su queste frammentazioni etniche punterebbe la Russia per destabilizzare l’area attraverso la Republika Srpska, e il suo leader Dodik. Cambiano soltanto i nomi dei ‘cattivi’ di sempre, versione Usa. Nell’elenco delle crisi balcaniche, Macedonia e Kosovo e le tensioni tra popolazioni slave e albanesi che qualcuno a loro molto molto vicino ha’aiutato’. Ma ora l’Unione europea starebbe cercando di ‘comprarsi’ Serbia, Montenegro, Macedonia, Albania e Kosovo.
Il NYT, fuori dai Balcani, propone letture dei fatti meno ‘originali’. Dubbi sulla sincerità Ue «che sta diventando più populista, più cauta nei confronti delle migrazioni e sugli allargamenti, dopo la Romania e la Bulgaria, con nazioni entrate prima che siano pronte per l’adesione». Già quattro anni fa, il capo della Commissione europea Juncker aveva avvertito: niente rapido allargamento. «Come essere rinchiuso in una sala d’attesa senza uscita», il commento del ministro degli Esteri macedone, Nikola Dimitrov. Posizioni contrarie alla chiusura verso i Balcani minoritarie oggi nell’Ue, che ha altro a cui pensare. Errore, sostiene il notista americano, con la Gran Bretagna il fuga e la Russia sospettata di tutto.
Dettagli sull’ipotetico rilancio di apertura europea ai Balcani, ma realtà molto lontane da minime accettabilità. Corruzione diffusa, economie clientelari allo sbando, eccetera. Ma sopratutto l’eterno supercattivo. Col Congresso Usa che chiede in questi giorni al Dipartimento della Difesa «una valutazione della cooperazione di sicurezza tra ogni paese dei Balcani occidentali e la Federazione russa». Da parte sua la Russia ha ripetuto che considera la nuova espansione della Nato nei Balcani occidentali inaccettabile. Citato anche il fantomatico tentato golpe in Montenegro. Ma soprattutto ‘infiltrazione’ economica e nei media. Con la Serbia prima sospettata per la condivisa ortodossia religiosa con Mosca.
Gran finale con fonte incerta. Un ex alto funzionario degli Stati Uniti ‘che ha chiesto l’anonimato’. «L’influenza nella regione ha funzionato solo quando Bruxelles e Washington hanno lavorato insieme». Alla ricerca storica di altri colpevoli che non sia la paventata minaccia russa di Putin, l’ex premier scandinavo Bildt, protagonista balcanico di vecchia data: «L’ironia della storia è che se la Jugoslavia fosse rimasta insieme, quasi sicuramente sarebbe stata nell’Unione europea ormai da anni, essendo molto avanti nel 1990 rispetto agli attuali membri Romania e Bulgaria». Oggi? Il ministro tedesco Kupchan: «La storia impone che tutti gli ex stati jugoslavi siano integrati nell’Unione europea». «Ma quando?».