
Qualche anno fa il mio amico Max, birraio e poeta, mi ha regalato un libro di quel vecchio stupendo sporcaccione di Charles Bukowski. Oggi aprendolo per caso ho letto questa poesia:
Ero dotato, sono dotato.
A volte mi guardo le mani e mi rendo conto che sarei potuto diventare un grande pianista o qualcosa del genere. Ma che cos’hanno fatto, le mie mani? Mi hanno grattato le palle, hanno scritto assegni, hanno allacciato le scarpe, hanno tirato la catena del water ecc. Ho sprecato le mani. E la testa.
Bella penso, vera. Inevitabilmente il mio sguardo si abbassa e si sofferma sulle mie mani che ancora tengono in mano il libro, le osservo e penso alle cose che fanno e ancora dovranno fare. La mia immaginazione è meno cruda… Poggio il libro e sfioro il bancone in ferro, ultimo arrivato nel cuore di Vald’O (che è il mio posto visionario, fatto di libri, arte, vino stupendo e altre poesie), mentre lo accarezzo penso alle mani che prima delle mie hanno sfiorato questo maestoso oggetto fumo di Londra.
Ho ancora negli occhi il disegno, l’idea, prima che un solo colpo di martello battesse sul ferro. Le linee perfette tracciate con naturalezza su un foglio di carta. Gli architetti, si sa, vedono in prospettiva laddove noi umani non osiamo… Oggi quei segni sono l’anima di quell’oggetto nero e bello a cui Massimo, il fabbro, con le sue mani grandi e possenti ha dato vita. Quelle stesse mani hanno piegato il ferro, l’hanno saldato e ora noi esibiamo le molature a vista come un pensiero ad alta voce, hanno costruito i nostri tavoli e i nostri sgabelli.
Non solo mani da fabbro, anche quelle da falegname, perché è un falegname, di Stefano.
Giovane, simpatico, romano da dieci anni in Valdorcia, è un artista. Non ha completato solo i tavoli. Per esempio con cura e attenzione ha restaurato una vecchia credenza abbandonata in una cantina. Con perizia ha fatto rivivere il “mettitutto” come lo chiamano da queste parti. Le sue mani hanno tagliato, incollato, ridipinto le ante in modo talmente perfetto che si fa fatica a capire quali sono quelle nuove e quelle originali.
Davanti agli occhi ho poi le mani di Luca, l’elettricista, che intreccia fili, taglia cavi con una velocità che non riesco neppure a raccontare. Creativo, ipotizza soluzioni, ha a cuore il passato, lavorando racconta del pozzo che sta risistemando e che è una testimonianza pura e archeologica di memorie del passato.
Non solo mani. Qui ci sono cuori, pensieri, personalità che vivono, costruiscono, sistemano, agiscono nella comunità. Punti di riferimento rurali, di capacità enorme, non dipendenti sottopagati e frettolosi delle ditte metropolitane. Il falegname è un amico, anche se prima non ci conoscevamo. Il fabbro è un gigante ha lasciato la grande città per andare a vivere a Monticchiello, in campagna, per trovare il silenzio. L’elettricista è la memoria della via Dante Alighieri, una delle memorie narranti di quello che è stato e quello che sarà. Finché umanità e bellezza si coniugano per dare forma e vita alle idee.