
Un dubbio di molti da quando la crisi dei migranti sbarcato in Italia è diventata la crisi nazionale convogliando paure e consensi politici. Perché le navi delle ong che soccorrono i migranti in mare non sbarcano i migranti a Malta, molto più vicina all’area dei soccorsi della nostra Sicilia? A questa La risposto da parte del fondatore della Proactiva Open Arms, Oscar Camps, visto che è proprio questa una delle accuse che la procura di Catania ha mosso contro di loro: il non aver sbarcato a Malta i migranti soccorsi al largo della Libia il 15 marzo.
Conferenza stampa dello spagnolo, assistito dal portavoce italiano dell’ong Riccardo Gatti e dal loro legale nella conferenza stampa di oggi a Roma organizzata dal presidente della commissione diritti umani del senato Luigi Manconi. La cronaca di Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale.
Il 16 marzo, il giorno successivo al salvataggio di 218 migranti contesi alla guardia costiera libica, il medico della Open Arms avverte che è necessario portare nell’ospedale più vicino una neonata. La nave umanitaria chiede un immediato intervento medico da parte delle vicine autorità maltesi e il trasferimento all’ospedale della bambina con la madre. “Al momento del trasbordo i maltesi hanno chiesto agli spagnoli che intenzioni avessero e gli spagnoli si sono allontanati, perché avevano già chiesto alla guardia costiera di Roma che gli venisse assegnato un porto di sbarco”, scrive Annalisa Camilli.
Secondo la procura, però, l’ong spagnola avrebbe dovuto chiedere alle autorità maltesi di sbarcare tutti i 218 migranti, soccorsi il giorno precedente.
Lo scarica barile. Il capitano e la coordinatrice confermano: “Non eravamo mai sbarcati a Malta in passato”, hanno risposto i due indagati. “Inoltre la guardia costiera di Roma ci ha chiesto, come prevede il codice di condotta, di chiedere al governo spagnolo (stato di bandiera della nave) di fare richiesta di un porto di sbarco al governo italiano”, ha aggiunto il legale. Secondo Oscar Camps, fondatore di Proactiva, deve essere la Centrale operativa della guardia costiera di Roma a determinare il porto di sbarco e a comunicarlo. Colpa italiana dunque quegli altri 218 mignanti da assistere?
Altro legale di parte Open Arms, Malta non ha una vera e propria zona di ricerca e soccorso, ma da anni dipende dal coordinamento italiano. Da sempre in quel tratto di mare i soccorsi sono stati coordinati dall’Italia. Quindi per il diritto internazionale e per la prassi è sempre avvenuto che i soccorsi coordinati dall’Italia avessero assegnato un porto di sbarco italiano”.
Il 15 marzo durante l’ultimo salvataggio a 73 miglia dalla costa libica, quando le lance della nave spagnola Proactiva Open Arms avevano già cominciato a soccorrere un gommone carico di almeno cento migranti, quasi tutti eritrei, è arrivata sul posto una motovedetta della guardia costiera libica. I guardacoste si sono avvicinati a tutta velocità e hanno ordinato agli spagnoli di consegnare i migranti, altrimenti avrebbero aperto il fuoco sugli umanitari. Un video diffuso dall’ong documenta questo momento. I libici hanno calato in mare anche dei gommoni e sono saliti su una delle lance spagnole.
Questa situazione di stallo è durata un paio d’ore. Dieci migranti che erano ancora sul gommone, spaventati dall’idea di essere consegnati ai libici, si sono buttati in acqua. La guardia costiera italiana non ha mai chiesto agli spagnoli di consegnare i migranti ai libici, ma gli ha chiesto di lasciare il campo alla guardia costiera libica per soccorrere quelli che erano ancora nel gommone.
Vietato il respingimento diretto. Una parte dei migranti erano già sui gommoni dell’ong, e riconsegnarli ai libici sarebbe stato un respingimento collettivo. Il salvataggio finisce quando le persone vengono lasciate in un posto sicuro. “Non possiamo fidarci della guardia costiera libica, che ci aveva già attaccati in altre tre occasioni: una volta ci ha minacciato, un’altra ha sparato colpi in aria e una terza ci ha sequestrato per ore”. Il senatore Luigi Manconi cita numerosi rapporti dell’Onu su violenze e torture da parte della guardia costiera libica contro i migranti.
Sul perché l’ong spagnola non ha chiesto alle autorità del suo ‘stato di bandiera’ di indicargli un porto di sbarco, la spiegazione diventa più incerta.
Nel codice di condotta, sottoscritto dalla Proactiva a luglio, è previsto “l’impegno” a informare lo stato di bandiera dei soccorsi che si stanno operando, “ma questa comunicazione non è obbligatoria”, prova a giustificare il senatore Manconi.
La procura di Catania accusa il capitano della nave spagnola Marc Reig Creus e la capomissione Anabel Muntes Mier di aver deciso arbitrariamente di continuare la ricerca e poi il soccorso dei migranti nonostante la guardia costiera libica avesse assunto il comando dell’operazione. Ma quali sono le acque di ricerca e soccorso libiche? In base a quale accordo sono state determinate? Chiede la difesa.
Nel luglio del 2017 la Libia ha chiesto all’organizzazione marittima internazionale, l’Imo, l’assegnazione di un’area di ricerca e soccorso, ma questa richiesta è stata ritirata nel dicembre del 2017. “Il soccorso è regolato dalla Convenzione di Amburgo del 1979 e in base a queste leggi internazionali non può essere affidato ai libici”, sostengono i giuristi della difesa.
Neppure la Libia ultra nazionalista di Gheddafi aveva assegnata una sua area esclusiva di ricerca e soccorso? Dubbio che coglie subito il ‘non giurista’. Sapremo di più dalle prossime decisioni dei giudici italiani.