
Più che un contenzioso diplomatico, sembra un mercanteggiamento da suk, e per una volta la nostra ministra della difesa Roberta Pinotti risulta la controparte più credibile. Il Niger ha chiesto o non ha chiesto un aiuto militare all’Italia?
Con una intervista a Rainews 24 dei giorni scorsi, il ministro degli Interni del Niger, Mohamed Bazoum, ha respinto con forza la possibilità di una missione militare dell’Italia in Niger, e nega l’esistenza di accordi in tal senso da parte del suo governo.
A Radio France internationale, in un articolo pubblicato nella tarda serata di martedì, lo stesso Bazoum ha smentito che il ministro della Difesa nigerino, Kalla Moutari, abbia mai inviato delle lettere al nostro ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per chiedere sostegno militare da parte dell’Italia.
“Non abbiamo mai inviato simili messaggi all’Italia- ha detto Bazoum invitando la stampa italiana a “porre fine a ogni polemica”. Sì, signor ministro, ma lei non conti balle, please.
Una precisazione del ministero della Difesa di Niamey ammette che le due lettere inviate da Moutari a Roberta Pinotti indicavano le necessità del Niger nella regione militare settentrionale escludendo però che riguardassero richieste di invio di truppe italiane. Tira e molla, come al suk.
«Una missione italiana in Niger è fuori discussione» (Pas de question d’une mission italienne au Niger) ha twittato il ministro dell’Interno nigerino, aggiungendo però che «è del tutto accettabile che ci siano degli istruttori italiani, membri esperti del personale militare in vari ambiti, al fine di rafforzare le capacità delle nostre forze di difesa e di sicurezza».
Che è appunto la missione italiana concordata con Roma e approvata dal nostro Parlamento, “cooperazione addestrativa” che ha sempre escluso l’impiego di truppe italiane per compiti di combattimento.
Ma allora, perché tutto questo pasticcio diplomatico a mezzo stampa tra Niger e Italia triangolato via Francia con molta malevolenza?
Gianandrea Gaiani, Analisi Difesa, avanza il sospetto di un “gioco delle parti” in cui i media francesi fanno da grancassa a dichiarazioni di esponenti nigerini con l’obiettivo di sabotare la missione italiana. Lo stesso ministro nigerino uscito allo scoperto contro la missione italiana, ha fatto riferimento anche alla presenza militare francese e statunitense in Niger precisando che è in atto “una verifica dei rapporti con questi partner”. Aggiungendo subito dopo che il suo governo “non è oggi nello stato d’animo per prendere in considerazione rapporti di questo genere con altri partner come l’Italia”.
Ovviamente Parigi non gradisce che in Niger si torni a discutere di presenze militari straniere in casa per colpa degli italiani. Contando per quanto li riguarda sulla dipendenza del Niger dalla Francia e sulla situazione politica interna al Paese africano. Piazza locale mobilitata contro la quarantina di militari italiani presenti, destinati a salire a 140 in giugno, sapendo tutti che francesi e statunitensi schierano contingenti ben più numerosi e impiegati in combattimento.
Ma il governo nigerino poggia su una precaria stabilità politica, anche legata al flusso finanziario generato dal ‘traffico’ di migranti all’interno del paese. «Togliere o limitare tale flusso di denaro, come sembra essere lo scopo della missione italiana, rischia di far detonare gli equilibri clientelari del regime di Niamey», spiega Alessio Iocchi, dell’Orientale di Napoli.
«La missione italiana rischierebbe di scardinare un meccanismo economico-politico ben oliato del presente regime nigerino». Parola ‘traffico’ fuorviante, ma sistema di movimento dei passeggeri molto ben organizzato e remunerativo. Niger Paese fortemente instabile, con ribellioni cicliche. Secondo Iocchi, è stato proprio ‘chiudendo un occhio’ sui disparati commerci, comprese cocaina e sigarette, che è stato possibile «disinnescare le tensioni politiche delle comunità arabe e tuareg».
«Su questo meccanismo inciderà la missione italiana: partita con la volontà di stabilizzare l’area, la presenza dei nostri soldati rischia invece di far detonare gli equilibri clientelari e fornire il pretesto per l’ennesimo ‘imbracciamo le armi’ nella regione saheliana».