
Nell’ottobre 1929 la crisi di Wall Street, il crollo della borsa negli Stati Uniti, provocò la «grande depressione» degli anni Trenta che ben presto ebbe pesanti ripercussioni anche in Europa. Numerosi storici ed economisti teorizzarono in seguito che la competizione scatenatasi dopo la crisi per la conquista dei mercati ai fini della ripresa economica sia stata invece una delle cause profonde dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, soprattutto perché ogni potenza reagì per conto proprio ricorrendo a metodi simili, come all’uso generalizzato di dazi sulle importazioni, riduzione dei salari o della spesa pubblica aggravando al contrario la situazione anziché risolverla. Poiché, soprattutto in Europa centrale e orientale – dove maggiori furono le difficoltà economiche e sociali –, fu fatto ricorso anche alla leva del nazionalismo politico e dell’isolazionismo in politica estera, di fatto si compì una tappa non già verso la ripresa economica, ma verso lo scoppio della guerra.
Nel giugno 1930 il presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover, nonostante avesse ricevuto un appello firmato da più di un migliaio di economisti e le critiche dell’industriale Henry Ford e del banchiere Thomas Lamont, non oppose il proprio veto alla legge di iniziativa del Congresso che innalzava le tariffe doganali (ovvero il 60% in più) su oltre ventimila prodotti d’importazione favorendo invece quelli americani. Sebbene perfino lo stesso Hoover – che aveva avuto anche esperienze economiche internazionali in campo minerario – fosse molto perplesso sulla legge, lo «Smoot-Hawley Tarif Act» entrò in vigore comunque provocando a sua volta una reazione protezionista da parte dell’impero britannico e della Francia e spingendo verso una sorta di stizzita autarchia Italia e Germania. Nell’arco di un triennio le esportazioni Usa calarono drasticamente di due terzi in diversi settori aggravando la situazione: basti pensare che in precedenza l’Europa acquistava massicciamente cereali dagli Usa, mentre i mancati acquisti che seguirono provocarono ulteriore disoccupazione negli Stati Uniti per mancanza di domanda. Consapevoli o meno delle conseguenze del loro comportamento, gli Stati Uniti avevano in ogni caso attuato una scelta destinata a complicare il quadro politico internazionale.
Meno noto è che la scelta protezionista operata dagli Usa, prescindendo dalle questioni economiche già rilevanti in se, rischiò di produrre conseguenze ancora più gravi sul piano delle relazioni bilaterali con la Gran Bretagna con cui esistevano già altri motivi di tensione. Alla soglia degli anni Trenta infatti il commercio internazionale era basato fondamentalmente sulle rotte marittime e sulla protezione delle navi mercantili da parte delle rispettive marine da guerra. Tra il 1928 e il 1929, tra Usa e Gran Bretagna era sorta una rivalità navale relativamente ad alcune basi in Estremo Oriente e nei Caraibi, ma ben presto furono messi in discussione gli armamenti e i tonnellaggi delle flotte. Si parlò allora già apertamente di «guerra economica» e l’aspetto più preoccupante fu quello che ad alzare la voce furono proprio due ammiragli, appartenenti uno all’US Navy (Plunkett) e l’altro alla Royal Navy (Taylor). Quando all’azione americana per ridimensionare il peso britannico sul mare si aggiunsero anche altri paesi come il Giappone, all’ammiragliato a Londra si cominciò a parlare di ‘accerchiamento’ e possibile guerra sui mari.
Nella primavera del 1929 il neo presidente Hoover e il primo ministro laburista britannico Mac Donald stabilirono un accordo di ‘parità navale’ tra i due stati, anche se in realtà sanciva la fine dell’egemonia navale britannica. Dopo aver accettato a malincuore l’accordo sulle flotte nel giugno 1930, la scelta protezionista americana aumentò la tensione. Dopo pochi mesi peggiorò il già difficile compromesso e alla Gran Bretagna sembrò di aver ricevuto un colpo subdolo alla propria economia e alla stessa struttura dell’impero. Da ambo le parti – come è costume degli stati maggiori – furono anche elaborati piani di guerra. Solo nel 1934, passata la tensione per la guerra commerciale e di fronte alla comparsa di un più temibile nemico in Europa (la Germania), gli americani abbandonarono del tutto il piano di guerra contro la Gran Bretagna basato sull’invasione del Canada: in quel caso l’esercito avrebbe dovuto occupare Winnipeg e l’Ontario e la marina avrebbe fatto sbarcare venticinquemila marines nel porto di Halifax.