La diplomazia parallela delle spie

Spie italiane a Mosca

Gli annali della storia e nemmeno le cronache degli ultimi due secoli trascorsi riportano clamorose azioni di agenti segreti italiani in Russia, ma ciò non significa affatto che non esistesse un interesse o che le informazioni fossero di scarso rilievo: la raccolta avveniva ugualmente attraverso canali semi ufficiali, come i viaggiatori o i commercianti, gli uffici consolari o soprattutto gli addetti militari o navali. In passato tuttavia un italiano molto noto aveva fatto la sua comparsa a Pietroburgo accompagnato da una fama molto particolare: il veneziano Giacomo Casanova infatti – dopo la sua rocambolesca e dubbia fuga dalle carceri dei Piombi – collaborò spesso come informatore della Serenissima nel suo lungo peregrinare tra le capitali europee, Pietroburgo compresa. I ricordi contenuti nelle sue memorie dei mesi trascorsi nella città nel 1764, oltre alle cronache mondane dei balli, dei teatri e delle sale da gioco, riportano tuttavia un giudizio singolare e profetico: Pietroburgo è descritta come ‘città infantile’, costruita frettolosamente, ma destinata a diventare superba nel volgere di un secolo.

Più curiosa e meno nota la vicenda del generale piemontese Giuseppe Govone che combatté contro i russi a fianco degli ottomani nel 1853 prima della guerra di Crimea, a Silistra, sulle sponde occidentali del mar Nero, e dunque non proprio nel cuore delle steppe. Sebbene la sua funzione fosse quella di osservatore, destinato quindi a ricoprire un ruolo in apparenza neutrale, a detta degli ottomani fu il vero animatore della resistenza all’assedio russo: a parte i buoni consigli dispensati ai turchi sul modo più efficace di costruire i bastioni in terra (Govone, sempre aggiornato nella professione, aveva grandi competenze nel lavoro del genio militare), divenne famoso per la sua capacità di ‘intuire’ le mosse dei russi. Poiché non si affidava certo alla sfera di cristallo, oggi possiamo pensare che invece ricevesse a proposito delle informazioni adeguate e soprattutto le sapesse utilizzare al momento opportuno. Giuseppe Govone, che purtroppo morì tragicamente nel 1872, è da ritenersi il fondatore dei servizi militari italiani e al tempo custodì gelosamente anche altri segreti del Risorgimento.

Il Risorgimento resta per tutto il XIX secolo un orientamento ideale ben radicato e non si dimenticano la partecipazione piemontese alla guerra di Crimea, né gli aiuti alle centinaia di profughi polacchi perseguitati perché nemici del regime zarista. Iniziative di vero e proprio spionaggio nei confronti della Russia non ne sono concepite, ma c’è anche l’alleanza con l’Austria e la Germania a dettare un certo comportamento. Le cose cambiano dopo la denuncia della Triplice alleanza e ci si trova alleati della Russia e della Serbia: c’è poca collaborazione tra i servizi durante la guerra, molta disparità nelle visioni strategiche e del resto non si tratta nemmeno di un’impresa facile con i mezzi dell’epoca. Resta il fatto che tra i primi italiani a raccontare le vicende della rivoluzione di febbraio del 1917, quella che porterà all’abdicazione dello zar, è un militare: il generale Giovanni Romei Longhena, capo della missione militare italiana, invia a Roma lunghe relazioni sul collasso militare russo, sullo spirito della popolazione civile e sugli sviluppi politici in corso. Tutti questi ampi e dettagliati rapporti furono conosciuti però solo a metà degli anni Settanta dal vasto pubblico e viene da dubitare perfino che durante la guerra siano stati letti con attenzione.

In Italia c’è però anche un’altra istituzione che raccoglie informazioni: la Santa Sede, che dopo la rivoluzione bolscevica sembrava del tutto esclusa dalla nuova Unione Sovietica, creò nel 1929 il collegio pontificio Russicum, destinato in un primo tempo ad accogliere i numerosi seminaristi cattolici di rito bizantino fuggiti dalla Russia ma anche alcuni ortodossi. Se da una parte si trattava di una scuola destinata alla formazione di sacerdoti missionari, dall’altra per l’NKVD e poi per il KGB si trattava semplicemente di spie straniere, per di più infiltrate clandestinamente nel territorio dell’Unione Sovietica dopo un’approfondita formazione che comprendeva lingua, storia, letteratura e tradizioni russe. Date queste premesse la sorte di numerosi missionari anche italiani scoperti e arrestati è facilmente intuibile.

Due Papi che vollero il collegio pontificio Russicum

Un ultimo capitolo riguarda la vicenda misteriosa di una nave da guerra italiana dopo la Seconda guerra mondiale: la corazzata Giulio Cesare, sulla base del trattato di pace del 1946, fu consegnata all’Unione Sovietica come preda bellica, ma nel 1955 affondò nel porto di Sebastopoli in seguito a una devastante esplosione che aprì uno squarcio nella fiancata. La versione ufficiale della marina russa parlò di un ordigno inesploso risalente alla guerra, quando il porto di Sebastopoli era stato occupato dai tedeschi. A metà degli anni Ottanta invece si sostenne che si fosse trattato di un sabotaggio e dunque di un atto deliberato. Per vendetta e per non permettere che una nave italiana navigasse sotto una bandiera sovietica, un gruppo di subacquei reduci della X Mas di Junio Valerio Borghese sarebbe penetrata nel porto per attuare il sabotaggio. Tesi suggestiva, ma a confutarla basta ricordare le gravi negligenze e lo stile di comando della marina sovietica, nonché il fatto che il porto di Sebastopoli non era mai stato dragato dal fango rendendo possibile proprio lo scoppio di un ordigno dimenticato.

 

E LE SPIE DI OGGI

Servizi segreti Italia Russia alleati contro gruppi jihadisti in Libia

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