
C’è un tema che accomuna, nel male, la vita di 159 Paesi del mondo. E questo filo rosso si chiama odio. ‘Hate speech’, incitamento all’odio, la contrapposizione ‘noi-loro’, spesso prodotta dagli stessi governanti, a generare nel mondo la più comune violazione dei diritti umani.
«Lo scorso anno il nostro mondo è stato immerso nelle crisi e importanti leader ci hanno proposto la visione di una società accecata da odio e paura», ha denunciato Salil Shetty, segretario generale dell’organizzazione. Dalla persecuzione della minoranza Rohingya in Birmania alle politiche anti-migranti del presidente americano Donald Trump, dal giro di vite sul dissenso e sulla libera espressione in Turchia ai tentativi di minare i diritti delle donne in Polonia, Russia e Usa.
La leggenda del popolo di buon cuore, a sentire Amnesty International, registra evoluzioni poco rassicuranti. Perché proprio l’Italia sembra concentrare più di altri Paesi europei le dinamiche di ‘tendenza all’odio’ segnalate un po’ ovunque nel mondo, segnala Gianni Rufini, direttore di Amnesty Italia, nel rapporto 2018. Un’Italia “intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia e paura ingiustificata dell’altro”. In altre parole, quello che appena nel 2014 era un paese “orgoglioso di salvare le vite dei rifugiati, che considerava l’accoglienza un valore importante”, oggi è ostaggio dei discorsi xenofobi. Nel 2017, dal ‘noi contro loro’ si è passato al ‘noi contro voi che state con loro’. E quel ‘voi’ sono gli italiani che con le associazioni o con altre forme di volontariato praticano la solidarietà.
La campagna elettorale non aiuta e discorsi equilibrati, e questa meno che mai. “Prima gli italiani” o slogan come “Sostituzione etnica”, sempre più diffusi sui social network. Facile da capire quali parti politiche li stanno usando di più. L’Italia comunque, è solo l’ultimo Paese ad affiancarsi in una direzione già mostrata dall’Ungheria di Orban, dagli Usa di Trump, dalle Filippine di Rodrigo Duterte. Ma nel rapporto 2018 di Amnesty la visione del mondo non è del tutto negativa.
Se i leader coltivano la diffidenza per accrescere il proprio potere, la società civile reagisce, costruendo un dissenso maturo, con una capacità di mobilitazione che supera gli steccati del dogma. Il mondo del dopo-ideologie è dipinto con scorci disperanti ma anche accenni di speranza.
La mappa dei diritti umani di Amnesty non risparmiano nessuno. La Casa Bianca, che ha deciso di vietare l’ingresso in Usa a persone provenienti da diversi paesi musulmani, la premio Nobel Auung San Suu Kyi, sotto il cui sguardo impassibile si svolge la persecuzione dei Rohingya in Myanmar, il presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi o Duerte, l’“uomo forte” di Manila. Passerella di governi autocratici dotati di quella che Amnesty chiama ‘retorica tossica’. Contro, sempre più società civile. Contro la Casa Bianca #MeToo, o “Ni Una Menos”, in Cile il divieto totale di aborto viene ridimensionato, a Taiwan si va avanti verso un matrimonio egualitario, in Nigeria rallentano gli sgomberi forzati.
C’è però il pericolo di un bavaglio, denuncia Amnesty: la tendenza a promuovere notizie false e a contestare l’autenticità di quelle sgradite, e la libertà d’espressione diventa un terreno di battaglia. Amnesty prevede che «la tendenza di importanti leader a promuovere fake news per manipolare l’opinione pubblica e gli attacchi a organismi di controllo sui poteri» faranno sì che «la libertà di espressione sarà quest’anno terreno di battaglia per i diritti umani». «Nel 2018, non possiamo dare per scontato che saremo liberi di radunarci per protestare o criticare i nostri governi: prendere la parola sta diventando sempre più pericoloso», ha detto Shetty.