
Il titolo di El Pais, quotidiano principe in Spagna, anche senza traduzione:
«Bruselas reactiva el debate sobre la integración de los Balcanes en la UE».
Bruxelles torna a ragionare su nuovi ingressi nel 2025.
«Bruselas ha querido englobar en una misma iniciativa a los seis países miembros de lo que denomina Balcanes occidentales: Serbia, Montenegro, Albania, Macedonia, Bosnia y Kosovo».
Dunque, si ricomincia a discutere di integrazione con quella parte di Balcani che era rimasta esclusa dopo le guerre jugoslave.
Il Regno Unito ha già un piede fuori dalla porta. La Turchia continua a trovarla sbarrata. Ma l’Ue guarda alla sua geografia, con la possibilità di ridisegnare i suoi confini. Nell’area dei Balcani Occidentali -abbiamo visto- ci sono sei Paesi che continuano a bussare alla porta. Due di loro, Serbia e Montenegro, sono in prima linea, con una serie di capitoli negoziali già aperti.
Obiettivo 2025, o meglio, corregge Jean-Claude Juncker: «Il 2025 non è un obiettivo, ma un orizzonte».
Niente facili aspettative per i Paesi coinvolti. Tra i candidati ufficiali e molti scetticismi, ci sono già Macedonia e Albania, mentre la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo restano «potenziali candidati». Molti i dubbi su ulteriori allargamenti, ma la regione rappresenta un’area strategica per l’Europa, geograficamente circondata da Stati Ue.
Interesse europeo certo, la stabilità dei Paesi dell’area, da sottrarre all’influenza geopolitica di altre potenze, vedi Cina, Russia e Turchia, per parlare di cose concrete. Del resto anche la Nato, annota Marco Bresolin su La Stampa, dopo aver accolto il Montenegro, ora vuole inglobare la Macedonia.
«Strategia per i Balcani» della Commissione europea con sei «iniziative faro» e un miliardo di euro per il 2018.
1) Monitoraggio dello Stato di diritto, per evitare in futuro i problemi creati oggi da Stati Ue come Polonia, Ungheria e Romania.
2) Sicurezza e immigrazione, con cooperazione rafforzata/vera nella lotta al crimine organizzato, al terrorismo, e una gestione coordinata dell’immigrazione.
3) Sviluppo socioeconomico (verrà data assistenza finanziaria in settori come educazione e salute e una spinta agli investimenti per le piccole imprese).
4) Migliorare la connettività dei trasporti e dell’energia.
5) Estendere l’agenda digitale (per esempio per abbattere i costi del roaming).
6) «Relazioni di buon vicinato»: le tensioni tra alcuni Paesi – Serbia e Kosovo in primis, ma anche certi revanscismi croati e le lacerazioni interne bosniache- restano un grande scoglio.
La questione dei confini nei Paesi dell’ex Jugoslavia continua a suscitare tensioni, persino tra due Stati Ue come Slovenia e Croazia. «O esportiamo la stabilità o importeremo l’instabilità». Johannes Hahn, commissario all’Allargamento, lo ha detto chiaramente: «L’Ue non accetterà uno Stato membro che non abbia risolto i propri conflitti bilaterali». Linea rossa insuperabile per nuove entrate. Un chiaro avvertimento per Serbia e Kosovo, ma non soltanto. Sulla questione Kosovo, la stessa Ue ha problemi in casa, con cinque stati al sua interno che non riconoscono quella secessione dalla Serbia.
Lo scenario descritto nel documento della comunità è abbastanza scoraggiante. “Legami con la criminalità organizzata, corruzione a tutti i livelli di governo, impunità e iniquità, diffuse interferenze politica e controllo dei media”. Gli standard europei sono molto alti, anche se molto diversamente rispettato al suo interno.
Attenzione rinnovata ai Balcani, dopo gli ultimi 15 anni di pausa europea, per la poco nobile paura di perdere influenza nella regione. Bruxelles rileva con preoccupazione come la Cina stia rapidamente aumentando i propri investimenti in quei paesi e come la Russia vinca, senza sborsare soldi, per attrazione politica.
«Ma non c’è presenza che possa essere paragonata a quella dell’UE», sfida Federica Mogherini.