Erdogan a Roma: Turchia e diritti, le bombe sui curdi di Siria

Vaticano, Roma, Italia

Perché Erdogan, il presidente di una Turchia sempre più autoritaria ha scelto proprio l’Italia per la sua prima visita di Stato in Europa dopo aver dato il via all’attacco che rischia di diventare la seconda guerra siriana? Perché l’Italia ospita il Vaticano, e dopo la richiesta visita di Erdogan a Papa Francesco per parlare di Gerusalemme e delle cose planetarie del mondo, toccherà anche a noi Italia, con qualche imbarazzo in più di quelli vaticani rispetto all’Unione europea in cui Erdogan dice di voler entrare, e alla Nato da cui rischia di voler uscire. Roma blindata non solo per antiterrorismo, e i potenziali nemici sono davvero troppi, ma per contestazioni diffuse.

Analisti e anticipazioni ci dicono che il presidente turco ha chiesto un incontro al Pontefice per cercare un mediatore che ammorbidisca le posizioni dell’Occidente nei suoi confronti. Una visita dai molti risvolti anche economici che cerca di distendere il clima teso dopo il fallito golpe che ha provocato una fortissima repressione. Altra chiave di lettura: forte del patto di ferro con Putin, forte dell’essersi innalzato a difensore della causa di Gerusalemme, il presidente turco forza nei confronti dell’Europa, una Europa che non vuole la Turchia dentro, ma una Europa che lo ha già riempito di miliardi di euro per farsi custode delle frontiere esterne del Vecchio Continente.

Geopolitica e affari

Erdogan affida a una intervista al direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, il senso della sua visita ufficiale: a Bergoglio proporrà un’azione comune per ricucire lo strappo su Gerusalemme operato dal presidente Usa Trump. Gerusalemme patrimonio dell’umanità, dice Erdogan, città condivisa per ridare una prospettiva alla soluzione “a due Stati”. Poi Mattarella e Gentiloni. Dopo aver bloccato la rotta balcanica dei migranti, il leader di Ankara promette un impegno sul fronte libico per la stabilizzazione del Paese nordafricano. Va ricordato che Ankara ha stretti rapporti con l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. Quanto ai Curdi, in Siria, per Erdogan non è guerra ad una minoranza ma guerra al terrorismo, come lo è stata quella contro l’Isis.

Erdogan sa bene che a Roma lo accoglieranno diverse manifestazioni di protesta. Lui non se ne cura e al direttore de La Stampa dice: “Non mi rivolgo a chi sostiene il terrorismo, ma a chi lo combatte”. La mobilitazione contro la sua presenza compilata da Umberto De Giovannangeli su l’HuffPost- è ‘ampia e variegata’. In prima fila ovviamente c’è la rete dei curdi, che denuncia “le mani sporche di sangue di Erdogan”, «un criminale che sta uccidendo civili in Siria così come li ha uccisi in territorio turco». Rete Kurdistan ricorda il ruolo di prima fila svolto dalle milizie curde dell’Ypg nella vittoriosa guerra contro lo Stato islamico e chiede di “stare accanto al popolo curdo e non a chi ne distrugge la storia e l’identità culturale”.

È la stampa bellezza

Che democrazia e stampa indipendente non siano nelle grazie del presidente turco è cosa ormai risaputa, testimoniata dagli oltre 120 giornalisti incarcerati. Il problema è che Ergogan non ama proprio la categoria, il mestiere, in casa o fuori che sia. Caso più unico che raro -segno evidente di imbarazzi incrociati- nessuna conferenza stampa né in Vaticano né a Palazzo Chigi. Ma a ricordare lo scempio di diritti umani e della libertà d’informazione perpetrati dal regime islamonazionalista turco saranno in tanti, a partire dalla Federazione nazionale della stampa, Articolo 21, Amnesty International che chiedono a Mattarella e Gentiloni di non sacrificare il tema dei diritti sull’altare della geopolitica e degli affari militari.

Ad ‘accompagnare’ Erdogan (sempre De Giovannangeli ) è anche il rapporto di Human Rights Watch (Hrw) che documenta l’uso della “forza letale” da parte delle guardie di frontiera turche per arginare i richiedenti asilo siriani in fuga in “migliaia” dall’offensiva lanciata dall’esercito di Ankara contro la città curda di Afrin nel Nord del Paese ma anche dalla provincia Nord-occidentale di Idlib. Secondo le Nazioni Unite, il numero di sfollati in fuga dall’offensiva lanciata lo scorso dicembre dalle truppe governative nella provincia di Idlib è salito a 272mila persone. Molti siriani hanno cercato di attraversare il confine con la Turchia, ma sono stati presi di mira dalle guardie di frontiera “che hanno sparato indiscriminatamente e hanno respinto i richiedenti asilo”, denuncia Hrw.

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