Cara Ahed Tamimi, ti scrivo per spiegarti le fake news

Cara Ahed, ti scrivo perché probabilmente nella prigione di Ofer dove sei rinchiusa, in questa lunga carcerazione preventiva per aver dato uno schiaffo a un soldato israeliano armato fino ai denti, non giungono gli echi del dibattito sulle fake news.
Tu hai sedici anni, vivendo in un carcere militare puoi capire che il mondo dell’informazione sia molto preso da cause ben più nobili della tua. Chessò, le beghe sulle liste elettorali, l’ultima gaffe a cinque stelle e, soprattutto, tra un (o una) Var e un fondoschiena di Belen sulle home page dei siti di informazione più autorevoli, il vademecum per scoprire quando una notizia può essere definita una fake news. Appuntatelo anche al buio, è importante. Recentemente ho sentito uno dei guru della comunicazione – insomma mi viene male chiamare giornalismo anche la sua parodia – spiegare alla massa acefala che occorre sempre verificare la fonte per evitare le bufale. Come si verifica una fonte in questa fase di imbecillità al potere? Su Google. Uno digita la notizia, se non appare sui media più importanti, è falsa. C’è anche una controprova, facile facile: se non ne scrive indignato Roberto Saviano, il tuttologo, si tratta di fake news.

Se l’avessi saputo mi sarei risparmiato tanta fatica. Pensavo che la storia delle fonti fosse un tantino diversa…

Cara Ahed, quindi il fatto che tu sia in carcere in un paese che l’autore di Gomorra, e il mandante di quella serie orripilante che ispira alla violenza le menti più ottuse, definisce “terra di grande accoglienza e tolleranza”, vuol dire che te lo meriti. E il fatto che non intervenga nessun intellettuale a gettone come – per esempio – per Malala, vuol dire che è vero: tu, cara bimba, per la stampa italiana sei una terrorista, un pericolo che ha osato alzare le mani nude contro i robocop israeliani. E poco importa se questo è avvenuto dopo che proprio quei soldati avevano sparato alla testa del tuo cuginetto di 14 anni. Per esempio, in un articolo sul Corriere in cui i soldati vengono chiamati eroi, questo dettaglio su tuo cugino è stato evitato. Se vale il concetto-verifica su Google, vuol dire che il fatto (con la storia del sangue sul selciato, della corsa verso l’ospedale, del cranio fracassato) deve essere una fake news. Mah, o una news introvabile perché inghiottita da un buco nero.

Cara Ahed, l’umanità occidentale funziona così. Si accende retorica quando non lede alcun nodo del potere feroce, economico o militare. Direi che è obbediente.

Però sappi che non ci arrendiamo, neanche di fronte all’evidenza. Non tutti, da queste parti del mondo, sono saliti baldanzosi sul carrarmato del vincitore (parafrasando il grande Vittorio Arrigoni che scrisse con questo titolo una bellissima lettera a Saviano, l’intellettuale più gettonato).

Quindi, prendendo le mosse da questa incapacità evidente, rilanciamo su queste pagine l’appello di tuo padre Bassem Al-Tamimi, un uomo che ha fatto della resistenza non violenta il suo credo. “Aiutatemi a liberare mia figlia Ahed – scrive nel suo appello accorato -. Quando l’ho vista in tribunale era pallida e tremava, era in manette e sofferente. Avrei voluto piangere ma non potevo, dovevo essere forte per lei. Poi il giudice ha negato il rilascio su cauzione e ora Ahed rischia di restare in prigione per mesi o anni prima ancora di arrivare a un processo. Non c’è ragione che giustifichi tutto questo! L’hanno portata via per aver schiaffeggiato un ufficiale armato fino ai denti, dopo che i soldati avevano sparato a suo cugino più piccolo fratturandogli il cranio. Ma invece di fare qualcosa per chi ha sparato a un bambino, se la prendono con mia figlia e ora la stanno accusando anche di altri 12 crimini. Dal 2000 ad oggi sono stati arrestati oltre 12mila bambini e ragazzi palestinesi! A prescindere dalla posizione di ognuno di noi su questo conflitto, nessun bambino dovrebbe finire in un carcere militare senza almeno un giusto processo, rischiando abusi di ogni tipo!”

Sperando di rivedere presto i tuoi riccioli resistenti e liberi al vento.

Ahed Tamimi

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