Negazionismo, le verità di comodo contro la vergogna

«Il nazionalista non solo non disapprova le atrocità commesse dalla sua parte, ma ha la notevole capacità di non sentirne nemmeno parlare»,
George Orwell

Con l’espressione ‘negazionismo’ si intendono tutte quelle posizioni culturali o politiche che, per motivi diversi e in diverse situazioni, negano fatti storici universalmente riconosciuti. L’esempio più clamoroso è la negazione della Shoah: non si intendono le semplici reticenze, le rimozioni o le sottovalutazioni – che pure ci sono state – ma la vera propria ‘negazione’ della realtà e del comune senso degli eventi che iniziò, a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ad opera di storici (o sedicenti tali) quali Robert Faurisson, Thies Christofersen, Henri Roques e Carlo Mattogno. Nel corso di un memorabile processo svoltosi a Londra tra il 1996 e il 2000, il negazionista inglese David Irving non solo fu condannato per le sue affermazioni, ma creò un effetto boomerang che ridusse definitivamente al silenzio ogni possibile argomento negazionista. L’istituzione della ‘giornata della memoria’ in vari paesi ha sancito infine l’esatto contrario e cioè il pieno riconoscimento della Shoah in tutto il suo orrore come principio condiviso dalla stragrande maggioranza.

Shoah

Esistono tuttavia altri casi diversi, non imputabili quindi solo a pochi pseudo intellettuali, ma che fanno leva invece su elementi di interpretazione della realtà storica – o più spesso caratteristiche identitarie di una comunità nazionale o religiosa – che finiscono per affossarla e stravolgerla, soprattutto ridimensionando le responsabilità ufficiali o fornendo versioni diverse che implicano a volte una corresponsabilità delle vittime. Tali casi hanno come protagonisti di solito i governi o gli stati che forzano il significato di documenti autentici o semplicemente li omettono. Il caso più eclatante è rappresentato dal genocidio armeno nel momento in cui si muove loro l’accusa di essere stati dei ribelli e si sottovaluta in maniera sistematica il numero delle vittime. L’elemento omesso con maggior frequenza in questa narrazione basata su fatti parziali e selezionati con cura è che lo stesso stato turco nel 1919 processò e condannò a morte in contumacia tre ministri che avevano ricoperto i massimi vertici politico-militari: Talat Pasha, ministro degli interni; Enver Pasha, ministro della guerra e Djemal Pasha, ministro della marina. Comprensibile quindi come in questo quadro di reticenze poco si sappia sull’altra persecuzione di circa duecentomila cristiani assiri avvenuta nello stesso impero ottomano nel corso della Prima Guerra mondiale, ovvero la si neghi del tutto.

Armeni

I casi di negazione non si fermano a questi, ma si devono considerare anche i casi di negazione temporanea, ovvero prima del riconoscimento o dell’ammissione della realtà ufficiale. Si potrebbe dire una negazione fino ‘a prova contraria’. Si tratta ad esempio di episodi avvenuti nel corso delle conquiste coloniali o di guerre simili: a lungo il massacro di Nanchino (almeno duecentomila vittime civili tra la popolazione) operato dalle truppe giapponesi fu taciuto e negato fino all’ammissione ufficiale del governo giapponese nel 1998, cioè dopo sessant’anni. Infine, per quanto doloroso sia ammetterlo, sulla strage perpetrata dalle truppe italiane in Etiopia nel 1937 presso Debra Libanos anche la nostra storiografia tacque a lungo. Le vicende dei massacri che avvenivano normalmente in epoca coloniale in Congo furono anche esse oggetto di questo tipo di negazionismo, ma alla fine fu chiaro che la storia del colonialismo raccontato dagli europei era ben diversa da quello vissuto dai nativi. Perfino negli Stati Uniti l’ammissione che nei confronti dei nativi americani era stato consumato quasi un genocidio arrivò tardi, anche se più che di negazionismo in questo caso sarebbe opportuno parlare di ‘trasformazione’ in senso spettacolare delle vicende reali, ma stravolgendole in ogni caso.

Stalinismo

Un capitolo a parte è invece costituito dai crimini del periodo staliniano o altri di simile matrice: non si tratta di tacitarli o di non riconoscerli come tali, ma di ammettere che l’atteggiamento nei loro confronti è stato quanto meno mutevole, influenzato da vari fattori in tempi diversi. Progressivamente però, a partire dalla relazione di Kruscev al XX congresso del Pcus, sono emerse le pagine più drammatiche che nessuno può ora smentire. Non si pensa nemmeno lontanamente di attribuire a cause naturali la carestia in Ucraina tra il 1932 e il 1933 o di negare la repressione basata sui gulag. Ancora qualche reticenza si nota però in Cina relativamente alla politica del “Grande balzo in avanti”. Ciò che comunque distingue questa ultima categoria di crimini una volta negati o nascosti è che oggi non esiste più la forma di governo che li ha generati e ci si chiede per questo se di vero negazionismo si tratti o di altra manipolazione. Resta il fatto che l’ipotesi negazionista non distingue mai tra responsabilità diretta o connivenza, tra silenzio voluto o ignoranza involontaria, in un pericoloso silenzio della coscienza.

Altri Articoli
Remocontro