Lotta per il primato del terrore

Da quando il Medio Oriente si è trasformato in una macro-area di crisi e la Corea del Nord minaccia di incenerire mezzo pianeta, dal Giappone alla California, altri “hotspot”, altri punti caldi sono caduti nell’oblio, anche se conflitti e stragi vanno avanti senza tregua. Il modello di una simile evoluzione “asimmetrica” della politica internazionale, e della conseguente incapacità della diplomazia di interpretare questa nuova sfida mortale, è forse l’Afghanistan. Un Paese che rappresenta l’architrave strategica dell’Asia Centrale, scrigno pieno di risorse energetiche che fanno gola a tutti. A cominciare da Cina e Russia. Ma se analisti e “strategist” dei Grandi della Terra dormono, ci pensano sempre più frequentemente i talebani a svegliarli clamorosamente.

Ieri un attacco-suicida, in cui è stata utilizzata un’ambulanza imbottita di esplosivo, a Kabul ha fatto quasi 100 morti e oltre 150 feriti. I testimoni, citati dalla britannica BBC, parlano di un vero e proprio carnaio, una terribile scena di sangue e di morte apparsa ai primi soccorritori che, avventurandosi tra auto ed edifici ancora fumanti, inciampavano su resti umani disseminati nel raggio di qualche centinaio di metri. Il kamikaze talebano ha superato due posti di blocco dicendo di essere stato chiamato per un pronto soccorso. Quando è riuscito ad arrivare tranquillamente nel quartiere delle ambasciate, si è fatto esplodere, scatenando l’apocalisse. Il governo di Kabul, assistito dai consiglieri militari americani, ha subito avviato un’inchiesta.

Le prime indagini hanno appurato che a quell’ora (circa le 12,15 locali), le strade e i mercati erano affollati di cittadini che sono stati investiti in pieno dall’esplosione. Una prima indiscrezione parla anche di una pista pakistana, che potrebbe portare a una forte reazione diplomatica e commerciale di Washington, contro i vecchi alleati di Islamabad, che evidentemente sono sospettati di tenere il piede in due staffe. Trump il mese scorso ha già dato una sforbiciata agli aiuti militari. Discorso vecchio quanto il cucco, per la verità. Già al tempo della feroce caccia a bin Laden, quando Al-Qaida imperversava ed era arrivata a realizzare la terrificante “multistrage” delle Torri Gemelle, la Cia sospettava (meglio tardi che mai) l’esistenza di una “black connection”di una parte “deviata” dei servizi segreti pakistani (l’ISI) con il terrorismo islamico.

In particolare, si sapevano anche nomi, cognomi e indirizzi dei Signori della guerra che, nel Waziristan, regione pakistana di confine con l’Afghanistan, fornivano aiuti e protezione ai qaidisti e ai talebani “Pashtun”. Poi tutti sanno come andò. Dollari, ambizioni e minacce americane, convinsero mezzo ISI a fare le scarpe a Osama bin Laden. Se lo vendettero loro. Altro che paziente lavoro delle barbefinte Usa! Osama bin Laden venne liquidato a raffiche di mitra mentre era accasciato su una carrozzella per colpa dell’insufficienza renale che lo affliggeva da anni. Il suo posto venne preso dall’arcifamoso medico egiziano Ayman al-Zawahiri. Da allora molta acqua è passata sotto ponti. E un nuovo formidabile “competitor” della casa-madre di tutti i jhadisti è comparso all’orizzonte: il Califfo al-Baghdadi.

A chi sarebbe toccato il compito di guidare il jihadismo universale? Beh, siamo ancora in mezzo al guado. Specie dopo che lo Stato Islamico siro-irakeno si è liquefatto come un ghiacciolo nel microonde. Due galli nello stesso pollaio finiscono per farsi la guerra, beccandosi sanguinosamente. Questa volta è toccato proprio ai capintesta del terrorismo islamico internazionale. Secondo quanto riportava tempo addietro l’Hindustan Times, ripreso in America dagli specialisti del Seti (il think-tank che si occupa di monitorare l’estremismo islamico) il successore di bin Laden più di una volta è andato giù pesante, riempiendo di accuse al-Baghdadi. Ma quale Califfato, ha detto Zawahiri, il capo dell’Isis è solo un “sedizioso” che propaganda una realizzazione “illegittima”.

Al Qaeda, ha aggiunto l’erede di bin Laden, non riconosce il Califfato e non riconosce ad al-Baghdadi l’autorità e le qualità per guidare i musulmani. “Avremmo preferito non dargli tutta questa confidenza – ha aggiunto un inviperito al-Zawahiri – ma Baghdadi e i suoi fratelli non ci lasciano scelta. Per cui chiediamo senz’altro a tutti i mujahideen di rigettare le richieste di alleanza con lui, smentendo qualsiasi accordo. Che le bombe di Kabul siano marcate “taliban” non c’è dubbio. Ma alle spalle potrebbero esserci anche motivazioni più complesse. Come una faida all’interno del movimento sunnita e la corsa a dimostrare chi merita maggiormente lo scettro di leader supremo del terrore.

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