
Per una coincidenza assoluta ho preso in mano una poesia di Pedro Pietri e ho declamato agli spiriti:
la mia gente ha
camminato sulla luna
prima che le astronavi
venissero messe in commercio
e scambiò rum originale
ad altissima gradazione alcolica
con gli abitanti indigeni
della luna
contro macchine da scrivere manuali
da lasciare sotto gli alberi
di natale e chissà
forse uno dei loro figli
da grande saprà salvare
la tradizione orale
del non mettere punti e virgole
Un’amica del cuore, nei giorni scorsi, ha detto che se ne vuole andare. Vuole lasciare l’Italia, la sua campagna etrusca piena di alberi e di verde, il suo teatrino costruito a fatica in anni e anni di poesia, gli amici e i viandanti, gli artisti che da sempre accompagnano la sua vita spirituale.
Ha detto che è stanca. Genericamente stanca. Della politica, della cultura, degli aspetti truci del tempo, della ferocia e della narrazione melliflua, della bruttezza e dell’incantesimo stupido in cui viviamo immersi mediaticamente.
Andar via è il minimo. Così ha detto. E mi ha spezzato il cuore.
Tutti siamo stanchi. Tutti siamo sul punto di andar via, di rimettere l’utopia nel cassetto, di accettare di scambiare questa fatica con qualcosa di meno impegnativo. E scrutiamo l’orizzonte con la prudenza di chi accetta la sconfitta, di chi non sa se ne è valsa la pena, se davvero conta qualcosa porsi dubbi, pensare, studiare, osare, prendere appunti, camminare, essere gentili e ribelli.
La dolce donna – poetessa, artista, sorridente, pazza, bellissima, spirituale, pura – mi ha spezzato il cuore perché non può che aver ragione. Lucida visione, la sua, di un meccanismo di imbecilli irrecuperabili, di sciocchezze al potere, leggere leggerissime ignoranze appese come veli trasparenti multicolori. Specchietti per allocchi del terzo millennio.
Mi ha spezzato il cuore perché ha torto rivelando a ognuno di noi che si può risolvere il dilemma, come è pratica la vita quando un cuore semplice, affaticato dai millenni, si lascia trasportare via dal vento. Verso tutto quello che è necessario. L’accettazione, la fine delle paure, l’inizio di un mondo luccicante, di cose buone. Apparentemente buone. Nel sogno, come in un film. Non serve neanche vendere l’anima al diavolo, basta un piccolo aggiustamento di rotta.
Che poi tutto risiede nel giudizio, in quello spazio in cui si giudica il merito. La mia amica ha detto che non meritiamo questa sorte buia. Io penso che invece sì, la meritiamo se consideriamo il merito come merce di scambio, come guiderdone, mercede e premio di valore. Meritiamo quello che siamo e che scegliamo di essere nello scambio che procura premio, ricompensa o castigo. Io per esempio merito di versare il vino agli assetati e non merito di fare televisione perché questo è lo scambio esatto e trasparente che ho con la vita.
Non penso si debba aggiungere altro. Noi siamo quelli che siamo stati sulla luna prima che le astronavi fossero messe in commercio, quelli che hanno portato nella memoria la cultura orale tramandandola di teatro in poesia, a braccio, in rima, su pittura rupestre. Così ho concluso con un pizzico di ironia e raccogliendo col dito un goccio di vino rosso caduto sulla tovaglia. Versare vino, leggere Pietri, conoscere le strade nel bosco sono semi nascosti di sapienza. La resa non è contemplata, per incapacità. Da qui occorre ripartire.
PS
È anche vero che siamo stanchi, ma sarebbe peggio non esserlo. Siamo stanchi, ma vivi. E lo siamo ovunque nel mondo. Lo siamo a Berlino, a Londra, a Cefalù, in Valdorcia, a Montepulciano, a Oriolo romano. E se andiamo via, non è dalle strade del nostro esistere, ma è dalla bruttezza delle circostanze che non si attenuano. Dall’abitare assuefatto, dalla mancanza di coscienza. Dal merito, dalla mercede, dal meretricio (strane circostanze animano l’etimologia). Dalla perdita di consapevolezza, dalla distanza che c’è tra un passo, un semplice passo, e la terra, la semplice terra. Dove dovrà esserci un testimone, sconfitto apparentemente dall’ultima violenza seriale, a raccontare ai nostri figli di quando camminammo sulla luna, di quando vincemmo con una magia ogni crudeltà.