Missione Niger dalla base Usa lungo le ‘Autostrade del Jihad’

Vigilia di missioni militari per l’Italia

Si raddoppia l’impegno bilaterale in Libano. Si sta per cominciare in Niger. L’eredità del governo Gentiloni: ridurre progressivamente l’impegno in Afghanistan e Iraq, dove restiamo essenzialmente per la parola data agli americani, e concentrarci sul Mediterraneo e dintorni.

In Niger, il nostro contingente – i primi 120 uomini a giugno, il resto nei mesi seguenti – si sistemerà alla periferia della capitale, Niamey, ci informano Francesco Grignetti e Giordano Stabile su La Stampa. Ospiti degli americani, che lì hanno una missione militare. Non con i francesi, dunque, come s’era detto alla diffusione della notizia sulla missione Niger, né antomeno schierati in basi avanzate nel deserto del Sahara. Si rafforza il profilo ‘no-combat’ della missione italiana.
Ed ecco la differenza sostanziale con i francesi, che invece fanno anti-terrorismo e sono attestati nel fortino Madama, quasi ai confini con la Libia. Va detto che la signora Florence Parly, ministro della Difesa voluta da Macron, aveva insistito con la collega Roberta Pinotti, sul ‘benvenuti nel Sahel’, «ma solo se venite per combattere». Così non sarà. Le due missioni saranno diverse, parallele, ma senza alcuna interdipendenza.

Il compito del contingente italiano sarà strettamente di addestramento, esattamente come la missione statunitense Acota (Africa Contingency Operations Training and Assistance) a cui andiamo ad affiancarci. Un addestramento -quello italiano- meno «protagonista» del modello Usa. Gli Stati Uniti, seguono i reparti da loro addestrati anche in prima linea. Nell’ottobre scorso un convoglio misto, americano e nigerino, è caduto in un’imboscata di jihadisti con 4 vittime tra i militari Usa.
‘Riposizionamento di forze’, lo chiamano i generali. L’Italia rafforza la cooperazione militare con il Libano. Nel Paese dei Cedri l’Italia ha il secondo contingente, dopo l’Indonesia, nella missione Unifil dell’Onu, con circa 1100 soldati dalla Brigata Folgore. Accanto a Unifil c’è un’altra missione, «Mibil», per l’addestramento delle forze armate libanesi, che ora raddoppia. Anche se i numeri sono ridotti -da 25 si passerà a 53 militari- l’obiettivo è cruciale. Abbiamo addestrato finora 1200 soldati libanesi, compresa la Guardia presidenziale e reparti di montagna.

‘Autostrade della jihad’ nel cuore d’Africa

Gli islamisti si riorganizzano nel Sahel dopo la caduta del Califfato Armi, droga e traffico di uomini viaggiano sulle stesse direttrici. Dopo la rivoluzione libica del 2011 sono arrivati nel Sahel grandi quantitativi di armi che hanno favorito la creazione di un movimento islamista ispirato al salafismo del Qatar, ci ricorda Francesco Semprini, La Stampa, da Banako. Ed ecco ‘autostrada della Jihad’, un’arteria che unisce due sponde dell’Africa e che porta dritta al suo cuore. «Highway 10», l’autostrada del 10° parallelo, dall’Atlantico al Niger, prima di svoltare a Nord.
La rotta che attraversa il Sahel e il sahara, prima di sfociare nel Mediterraneo. La terra promessa della «jihadiaspora» (la diaspora della jihad), che dopo la caduta del Califfato tra Iraq e Siria ha visto gli adepti di Abu Bakr al-Baghdadi fuggire su tre direttrici: Europa, Asia e Africa. All’origine di «Highway 10», il Mali, ‘l’anello debole della catena saheliana’ (sempre Semprini). Un Paese fuori controllo dove le contrapposizioni interne rendono difficile ogni tentativo di recupero.

Dal 2014 al 2016, valutano gli analisti, il Paese maghrebino è il primo hotspot di connessione euro-mediterraneo per la coca. A cui si aggiunge il traffico di esseri umani, un giro d’affari nella regione stimato a sei miliardi di dollari l’anno. Il fenomeno è stato descritto da Europol, Interpol e Unodc come ‘policriminalità’, reti criminali che sfruttano i medesimi canali di traffico e in cui convergono diversi «prodotti»: esseri umani, droga, armi e jihad. La stessa infrastruttura si usa per tutti i traffici secondo la «teoria delle reti», autostrade battute da tutti per tutti i traffici.
‘Policriminalità’ anche su un meridiano, il numero 30, attorno al quale si stanno coagulando lo Stato islamico, dal Sinai alla Somalia. Nell’ex colonia italiana Al-Shabaab. Alleanze con tribù e bande armate nel Sudan, con contrabbando e rapimenti. Rischio di avvicinamento di gruppi vecchi e nuovi, da Al-Qaeda in Maghreb all’Isis, passando per Boko Haram, nella sovrapposizione di traffici di armi, droga, esseri umani.

E di uranio, « il business del futuro», conclude Semprini.

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