L’attacco turco ai curdi in Siria puzza anche di petrolio

Valutazione internazionale condivisa: l’offensiva turca ad Afrin contro i guerriglieri curdi dello Ypg poteva iniziare solo col tacito consenso della Russia. Assieme all’imbarazzata impotenza Onu, e alle ormai clamorose contraddizioni dell’amministrazione Trump, Usa formalmente alleati della formazioni curde sotto attacco.
L’operazione «Ramoscello d’ulivo» il risultato di un accordo tra Putin ed Erdogan, la valutazione concorde. Un’intesa che andrebbe persino al di là della situazione in Siria.
Secondo l’analista Vladimir Popov -cita Giuseppe Agliastro- non è un caso che Ankara abbia dato il via libera alla seconda linea del Turkish Stream proprio il 19 gennaio, cioè poco prima dell’inizio dei raid aerei turchi sull’enclave curda.

Il nuovo gasdotto è un progetto di fondamentale importanza per la Russia, che così potrà portare il proprio metano in Turchia attraverso il Mar Nero aprendosi una rotta verso l’Europa meridionale e aggirando l’Ucraina.
Interessi economico energetici nazionali prevalenti, poi comunque le preoccupazioni strategiche. Al Consiglio di sicurezza dell’Onu i russi chiederanno ad Ankara di mettere fine all’attacco. Ma Erdogan ha sottolineato che l’operazione si svolge «con il beneplacito della Russia».
Secondo il quotidiano Kommersant, russi e turchi avrebbero discusso i dettagli di «Ramoscello d’ulivo» in un incontro a Mosca alla vigilia della battaglia. Seduti allo stesso tavolo giovedì 18 gennaio c’erano il ministro della Difesa Sergey Shoigu e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov per la Russia, il direttore dei servizi di sicurezza Hakan Fidan e il capo di Stato maggiore Hulusi Akar per la Turchia.

Russia, Turchia e Iran promotori dei negoziati di Astana, con la creazione di quattro zone di de-escalation in Siria, per porre le basi di future sfere di influenza. Equilibri ed intese ancora fragili, Turchia del nevrotico Erdogan, per prima. Ed ecco perché Putin il piccolo contingente russo schierato nella zona di Afrin ha levato subito le tende lasciando il campo libero ai turchi.
Sempre per Kommersant, i militari di Mosca si erano già spostati a Tell Ajar quando, sabato pomeriggio, ha avuto ufficialmente inizio l’attacco.
La Russia si è quindi limitata a qualche dichiarazione formale di condanna per l’azione turca. E lo stesso hanno fatto i governi di Siria e Iran.
«Per Damasco – spiega il generale Yuri Netkachev a Nezavisimaya Gazeta, e riporta La Stampa – è conveniente sbarazzarsi del separatismo curdo e si tratta di un vantaggio anche per l’Iran», che -va sempre ricordato- ha in casa una sua minoranza curda.

«Non è da escludere che Mosca abbia convinto il suo alleato Assad a non intralciare l’operazione turca», aggiunge il generale Yuri Netkachev. Ad alimentare i sospetti la coincidenza della notizia sull’offensiva turca assieme a quella dell’intesa tra russi, turchi e iraniani su chi prenderà parte al Congresso per il Dialogo nazionale siriano in programma a Sochi il 29 e il 30 gennaio.
È il Cremlino a sponsorizzare questo evento e Putin, vigilia di presidenziali a marzo, non vuole inciampi. Uno dei punti delicati, la presenza dello Ypg, il braccio armato del partito curdo Pyd. Erdogan non vuole che i curdi partecipino ai negoziati, ma la Russia dice di volerli includere.
Problema semi risolto: saranno quello del Ypg a non volerci essere.
Con una successiva furberia. I curdi saranno rappresentati come comunità e non come partito, e saranno escluse dalle trattative tutte le figure politiche invise ai turchi.

Sul Ypg curdo, problemi maggiori in casa statunitense, comunque, visto che ha usato quelle formazioni come propria forza armata sul campo in Siria, sia anti Isis sia anti Assad.
Sul sostegno fornito da Washington alle Unità di protezione del popolo, il Ypg curdo, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, in un’intervista al quotidiano ‘Haberturk’, avverte. «Il nostro compito non è quello di affrontare la Russia, la Siria o gli Stati Uniti, ma combattere il terrorismo».
Forte dell’asse con Mosca, Erdogan sfida Trump: «Dagli Stati Uniti ci chiedono quando finirà l’operazione contro l’enclave curda di Afrin nel nord della Siria. Io vorrei chiedere agli Usa la stessa cosa: quando finirà l’operazione in Afghanistan? E in Iraq? E ora siete in Siria… Non penso che possiate parlare di scadenze. La guerra non è un’equazione matematica».

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