Is Mr. Trump Nuts? Trump è pazzo? Se lo chiede in New York Times

Is Mr. Trump Nuts? Trump è pazzo?

La firma è ‘The editorial bordjan’, che vuol dire il NYT tutto in blocco.
Poi spiega.
«Is Donald Trump mentally fit to be president of the United States?»
Donald Trump è mentalmente idoneo ad essere il presidente degli Stati Uniti?
Domanda legittima per il comportamento di Trump che viene così definito:
«impulsive, erratic, dishonest, childish, crude».
Impulsivo, incostante, disonesto, infantile, rozzo, triviale.
Segue un lungo elenco di fatti e misfatti a cui mancava ancora il top degli ‘Stati cesso’, e tutti sappiamo che stiamo usando un eufemismo.
Nell’editoriale esce fuori anche un dettaglio doloroso sulla famiglia di origine del presidente, e il tema è sempre quello della sua salute mentale, o aspetti collaterali.
«It is likely that like his father and mother, Trump suffers from a genetically based Alzheimer’s condition…»
È probabile che, come suo padre e sua madre, Trump soffra di una condizione di Alzheimer a base genetica…

‘Altra destra’ e l’America razzista di Trump

‘Alt-right’ è stata una delle espressioni più usate dalla elezione di Donald Trump. Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016, via via che montava quel movimento eterogeneo di estremisti di destra che si faceva chiamare appunto alt-right, qualcuno cominciò a chiedersi se era giusto usare un neologismo per definire idee e atteggiamenti che la storia aveva già conosciuto e messo al bando, ci ricorda Giulia Zoli su Internazionale.
Meno di un mese dopo la vittoria elettorale di Trump, il responsabile delle norme editoriali del New York Times, Philip Corbett, raccomandava ai giornalisti: «Evitiamo di usare il termine alt-right da solo, senza spiegazioni», fornendo indirettamente una sua definizione di All-right: «Una frangia razzista dell’estrema destra che fa sua l’ideologia del nazionalismo bianco, contraria all’immigrazione, antisemita, antifemminista».

Trump e i suoi ‘alt-right’ supporters

Per Vittorio Zucconi, Repubblica, quello che emerge delle ormai incontenibili gaffe del presidente e dalle difese dei suoi supporter è puro, distillato razzismo, attizzato dal rancore e dall’ansia di vendetta contro quell’ “africano”, quell’usurpatore con la pelle nera che ossessiona questa base elettorale e Trump stesso. Zucconi cita il sacrifico dei Chasseurs-Volontaires de Saint-Domingue, i fucilieri neri volontari che nel 1779 parteciparono alla Rivoluzione Americana al fianco dei ribelli di George Washington contro le truppe coloniali inglesi.
«Provenivano da quella nazione che oggi il leader degli Stati Uniti d’America ha definito uno “shit hole”, un’espressione che l’Agenzia Ansa ha tradotto eufemisticamente in “cesso” ma che all’orecchio di qualsiasi americano suona molto, molto più volgare. Uno “shit hole” è un “buco del culo”. Nella più benevola delle traduzioni, un “merdaio”».

50 anni fa Martin Luther King

Disprezzo per chiunque non appartenga all’immaginaria tribù dei ‘bianchi puri, meglio se norvegesi, ci ha detto Trump. Dimenticando che la stessa realtà bianca statunitense è formata in realtà da un mosaico di popoli fuggiti in America da altri ‘buchi del culo’ del mondo. «I ghetti della Polonia, dell’Ukraina, della Bielorussa, la miseria più divorante del Sud d’Europa, Italia inclusa, dalla Germania che gli antenati di Trump, quando ancora si chiamavano Drumpf lasciarono per mangiare, dall’Irlanda devastata dalla carestia delle patate».
Poche ore dopo i suoi commenti sull’Africa, Haiti, il Centro America come ‘merdai’ del mondo, Trump aveva registrato per la tv il messaggio di saluto e di commemorazione per la Festa di Martin Luther King, ci ricordano i colleghi dagli Stati Uniti. Martin Luther King, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 fa da altri razzisti, quelli senza finte alternative.

American Psico

In realtà, l’ultima uscita da brividi di Donald Trump, non è stata una gaffe, ma un’affermazione «politica». Il problema di carattere istituzionale, non più solo politico, si pone fin dal giuramento presidenziale, ma ora, a solo un anno da quel giorno -sottolinea Guido Molteno su Il Manifesto– diventa «il problema» per la democrazia stessa degli Usa. «Perché il razzismo, che pure è un tratto saliente di un lungo pezzo della storia americana, oggi sdoganato e sbandierato dal vertice istituzionale assume caratteri dirompenti e potenzialmente deflagranti in una società come quella americana».
Il viceportavoce della Casa bianca, Raj Shah, prova giustificare e svela: «Certi politici a Washington scelgono di battersi per paesi stranieri, ma il presidente Trump si batte per il popolo americano». Quindi prendersela con gli immigrati, con persone di colore, è battersi per gli americani: gli americani bianchi. Quelli che l’hanno eletto. L’America bianca rancorosa, con forti componenti suprematiste, xenofobe e razziste.
E pluribus unum, il motto nazionale, diventa una presa in giro. Crisi della presidenza come istituzione, ma anche dell’America come potenza globale.

 

«HAIL TRUMP»

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro