
Dopo la riunione a porte chiuse del Majilis, il Parlamento iraniano e il comunicato ufficiale dei “pasdaran” che dicono di avere liquidato la rivolta, gli ayatollah insistono: dietro i disordini scoppiati la settimana scorsa a Mashhad, che si sono poi estesi ad altre città, ci sarebbe la manina della Cia. E non solo. In un articolo pubblicato ieri dal Teheran Times, Moshee Rezaee, segretario dell’Expediency Council (il Consiglio per il Discernimento), fornisce anche i dettagli, con nomi e cognomi, di un’operazione studiata a tavolino durante una riunione tenutasi due mesi fa ad Erbil, nel Kurdistan irakeno. Per gli ayatollah, i “cospiratori“, coordinati dal capo del Cia Mission Center di Teheran, Michael D’Andrea, erano elementi della cerchia di Massoud Barzani (ex Presidente curdo), delle milizie Mojahedin-e-Khalq e, soprattutto, emissari sauditi.
Il piano, sempre secondo Rezaee (ex comandante del corpo delle Guardie rivoluzionarie), prevedeva il dilagare della ribellione, grazie all’esportazione clandestina di armi e a forme di provocazione destinate a sollecitare una massiccia repressione. La contabilità dei morti sarebbe stata la pezza d’appoggio per chiedere sanzioni economiche ulteriori alle Nazioni Unite e all’Europa. Il trabocchetto non sarebbe riuscito perché le autorità iraniane, avvisate da qualche “amico” (Putin?), avrebbero deciso di tenere un profilo basso, evitando di calcare troppo la mano contro i manifestanti. Gli oltre venti morti, insomma, sono stati il risultato di un inizio di rivolta in cui la situazione stava per scappare di mano agli ayatollah. Prima che arrivasse l’ordine (da Khamenei) di non sparare per evitare il trappolone.
Intendiamoci, le proteste erano giustamente motivate dalla difficile situazione economica, che però non è stata sufficiente a innescare un “moltiplicatore” delle rivendicazioni che abbracciasse massicciamente anche la sfera politica e dei diritti umani. Comunque, il governo iraniano starebbe approntando un dossier contro le potenze straniere che avrebbero non solo soffiato sul fuoco della rivolta, ma anche accesso la miccia. Una dura campagna diplomatica è pronta a partire, specie contro Trump, giudicato un “alleato di Satana”. Abbandonati i toni tutto sommato “soft”, Rezaeee ha concluso il suo intervento con le minacce di sguincio: “Gli Stati Uniti -ha detto- da quarant’anni si mettono di traverso per ostacolare la nostra rivoluzione. Che stiano attenti, perché potrebbero subire pesanti conseguenze”.
Cosa che, tradotta dal politichese, potrebbe voler dire che anche gli sciiti sanno mettere le bombe come i sunniti. E, tanto per essere ecumenico, l’ex comandante delle Guardie rivoluzionarie, ha esteso le sue minacce anche al Regno Unito. Intanto, non trova conferma la notizia dell’arresto (ai domiciliari) dell’ex Presidente “duro e puro” Ahmadinejad, ritenuto colpevole di avere aizzato le. folle parlando a Bushehr. Come riporta il quotidiano Al-Quds al-Arabi, “alcuni tra gli attuali leader – avrebbe detto Ahmadinejad – vivono separati dai problemi e dalle preoccupazioni della gente e non sanno nulla della realtà sociale dell’Iran”. Dichiarazione più che sufficiente a far saltare il ticchio alla Guida suprema, Khamenei, e che dimostra come la teocrazia persiana sia più frammentata del previsto.