Iran, disagi di popolo e tanti nemici

Tanti diversi Iran in campo

Chi protesta contro il governo per del costo della vita, la disoccupazione, la corruzione del governo e degli esponenti religiosi. E chi manifesta per le stesse ragioni ma a favore del presidente moderato Rouhani.
«Le critiche e le proteste sono un’opportunità, non una minaccia», prova a dire il presidente, ma la repressione del governo, che ha già arrestato centinaia di manifestanti e oscurato i social network, continua con il “pugno di ferro”.
E poi le sospette tifoserie esterne.

Non si placano le violenze

Dodici le persone morte nei disordini a partire da giovedì, quando la protesta è scoppiata a Machhad, la seconda città del Paese, per poi ampliarsi a livello nazionale, compresa la capitale Teheran dove sono state arrestate in questi giorni più di 200 persone. I manifestanti hanno assaltato stazioni di polizia e basi militari.
Non è servito l’appello alla calma lanciato domenica dal presidente Hassan Rouhani. E si impone per ora la scelta politica dell’ala dura degli integralisti al governo, per la repressione senza concessioni e confronto.

Partita politica interna

Critiche e proteste un’opportunità, non una minaccia, prova a dire Rouhani che poi ha minimizzato la portata delle manifestazioni, definendole ‘niente’. Poi la difesa d’ufficio del regime: “La nazione stessa risponderà ai rivoltosi e delinquenti affrontando questa minoranza che urla slogan contro la legge e insulta la santità ed i valori della rivoluzione”.
I problemi economici del Paese. La situazione dell’economia iraniana pesantemente criticata dai manifestanti, “È migliore rispetto al livello medio mondiale e la crescita economica del Paese si è attestata al 6% nella prima metà dell’anno iraniano”. Il governo ha creato 700.000 posti di lavoro, ma, aggiunge Rouhani, “accettiamo le critiche contro l’attuale alto tasso di disoccupazione”.

Partita politica esterna

Le ragioni pulite della proteste, e gli interessi occulti che vi si muovo dietro, inquinandole. Rouhani patriottico: “Sono i nemici di Teheran, i Paesi che non hanno tollerato il successo dell’Iran nell’accordo nucleare e nella regione, a incoraggiare e spingere le persone a protestare. Il nostro progresso per loro era intollerabile, il nostro successo nel mondo della politica rispetto agli Stati Uniti e al regime sionista (Israele), era per loro intollerabile”.
Propaganda e contro propaganda. “Sosteniamo il diritto del popolo ad esprimersi pacificamente”, si legge in una nota della Casa Bianca. “Il mondo vi guarda”, aveva twittato Donald Trump. Risposta da Teheran: l’attenzione Usa ai diritti dei popoli certo riguarderà anche quelli dei cittadini del regno saudita alleato Usa.

Molti legittimi sospetti

Alcuni sostengono che le proteste del primo giorno siano state organizzate dagli ultraconservatori che fanno riferimento alla Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, l’autorità politica e religiosa più importante del paese. L’obiettivo, dicono alcuni analisti e giornalisti, indebolire il governo di Rouhani, da sempre in competizione con lo schieramento di Khamenei. Non ci sono prove certe che dimostrino questa tesi, ma a Mashhad -dove sono iniziate le proteste- gli ultraconservatori sono molto forti e dove -per esempio- è molto popolare Ibrahim Raesi, il candidato conservatore che fu battuto da Rouhani alle ultime elezioni presidenziali, a maggio.

I disagi reali

Per Ali Vaez, direttore del programma sull’Iran dell’International Crisis Group, ha scritto che le iniziali proteste probabilmente organizzate dagli ultraconservatori sono andate fuori controllo. Le più grandi dal 2009, anno delle manifestazioni organizzate dai riformisti (la sinistra iraniana) del cosiddetto «movimento dell’Onda Verde», che scese in piazza per protestare contro la vittoria alle elezioni presidenziali dell’allora candidato conservatore (la destra), Mahmud Ahmadinejad.
Questa volta, però, le proteste non sono nate a Teheran, la città più progressista dell’Iran, ma in provincia, dove i conservatori sono più forti. Sono probabilmente meno partecipate di allora, ma più diffuse.

Sospetto chiama sospetto

Secondo Borzou Daragahi, giornalista di BuzzFeed esperto di Iran, potrebbe essere stato lo stesso Rouhani ad alimentare lo scontento, scrive il Post italiano. Un mese fa Rouhani aveva reso pubblico per la prima volta il bilancio annuale dell’Iran, all’interno del quale c’erano diversi dettagli su come il denaro statale finisse inspiegabilmente a fondazioni religiose, centri di ricerca e altre istituzioni vicine alla leadership religiosa.
Secondo l’analista indipendente Imid Memarian, «Le persone hanno capito come la classe religiosa si stia fondamentalmente mangiando una grossa fetta di budget senza alcuna responsabilità, mentre la vita quotidiana delle persone diventa ogni giorno più difficile».

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