Seconda lettera a Remondino su Tolstoj e sul 2018

Si tende a pensare che siano i vecchi i più fervidi conservatori e i giovani gli innovatori. Non è sempre così.
Di solito i più fervidi conservatori sono i giovani che hanno voglia di vita, ma che non pensano, né hanno il tempo di farlo, a quale sia il modo migliore per vivere, prendendo così a modello lo stile di vita preesistente
”.

Questa frase è di Lev Tolstoj. In questa mattina piovosa di fine 2017, mentre la scrivevo pensavo che per tanti anni l’ho vissuta con fastidio, dalla prima volta che l’ho letta. Ho attraversato il tempo con piglio guerriero, nella professione dico. Senza pormi dubbi sulle conseguenze delle azioni, della ricerca, del giornalismo quando era d’inchiesta o quando raccontava o analizzava realtà oscure o semplicemente poco chiare o tenute in un cassetto della memoria.

Sorrido, e rifletto sulla bravura di tanti che nelle stesse circostanze sono riusciti a capitalizzare meglio i saperi. Per un paradosso, lasciando fuori qualcosa, non andando oltre la linea sottile e potente della mentalità dell’epoca che determina quali battaglie siano giuste e quali no. Quali sovversioni giornalistiche siano utili e quali no. Quali verità occorrano per andare avanti e quali no.

Fermo in questo ragionamento, mi guardo intorno. Il tempo passato e il presente si sciolgono in questo stesso istante. Ecco che mi appare più chiara la frase di Tolstoj: i fervidi conservatori sono stati i giovani più vitali, più intraprendenti nel prendere a modello lo stile di vita professionale che conta. Mentre nelle notti buie andavamo a caccia di dettagli con i piedi nel fango e nei veleni, e credevamo di cambiare il mondo, chi si limitava a cambiare idee e cravatte prendeva il potere.

Non c’è fastidio in questo scritto, caro Ennio. Anzi, è quesi una rivendicazione dolce. In questa lettera di fine anno, ho pensato di fare una similitudine tra di noi. Riottosi, pieni di energia per scardinare il sistema quando eravamo più acerbi, diciamo. Con lo stesso identico piglio anche oggi, da maturi. Per questo è dolce come rivendicazione.

In questo ultimo pezzo del 2017, di uno splendido 2017 di cambiamenti epocali, di città cambiate, di lavori rottamati, di nuove avventure principiate, mi trovo qui, in amicizia su Remocontro, a testimoniare a favore di Tolstoj. Non siamo più giovani, ma manteniamo nel cuore la ribellione e l’idea che alla fine dei conti per vivere, in coscienza e non in sonno, occorra il seme del dubbio. Sia utile lasciare che questo seme metta radici nel terreno duro del conformismo e che cresca e diventi quercia e poi foresta. O che, per lo meno, questa fiammella di coraggio e speranza venga lasciata accesa.

Se il 2017 è stato l’anno dei mutamenti. Il 2018 sia dedicato alla piccola pianta (di libertà, cultura, sovversione, poesia) coltivata e protetta. Dal fuoco, dal vento gelido, dall’incuria, dal cemento. Con cura.

Lettera a Remondino sui santini e sul coraggio del mestiere

Coraggio bambini, imparate a fare le cose difficili

Ps 1
Ma quando leggete un giornale, per esempio, vi capita anche a voi di restare attoniti di fronte a reportage penosi, intrisi di luoghi comuni xenofobo-classisti? Oppure vi piace leggere la realtà superficiale sui drammi del tempo senza che ci sia manco mezza riga che li contestualizzi, che con umanità colga il nesso tra la povertà in tutte le sue declinazioni e le cause delle ingiustizie? Francamente di fronte alle ultime performance metropolitane del Corriere della Sera sulle stazioni milanesi e a quelle della Repubblica sulle borgate mi sorge il dubbio che la fascistizzazione stia entrando nella mentalità. Che quindi il nemico sia sempre il povero che turba i sonni del ricco che ne causa la povertà.

Ps 2
L’immagine di copertina è un particolare di un’opera di Mattia “Fieno” Torelli apparsa su Emergenze N.1 dell’aprile 2015.

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