Gerusalemme israeliana per una Palestina saudita?

Sulle conseguenza per la scelta di trasferire l’ambasciata Usa a Gerusalemme sappiamo dalla cronaca quotidiana, e altro ancora dovremo vedere. Sul perché di questa mossa decisamente azzardata da parte statunitense, invece sappiamo poco. E non basta catalogarla tra le mattane di un presidente che ha sbagliato mestiere. Ma in questo primo travagliato anno di presidenza Trump, ci sono dei segnali da decrittare. Certamente l’alleanza decisa accanto all’ala dura delle politica israeliana, rappresentata da Netanyahu. Ma anche l’alleanza con in sauditi. Anzi, Washington Riad più che Washington Gerusalemme.

E quindi, ipotesi di Augusto Rubei sull’HuffingtonPost, e con riscontri tra la stampa mediorientale e statunitense più sospettosa. Trasformare la Palestina in un’enclave saudita, ripetendo, in un certo senso, quello che è già stato fatto in Yemen, escludendo una guerra, ovviamente. Soldi e influenza politica con l’obiettivo di sterilizzare definitivamente l’influenza iraniana nella regione. Ipotesi e analisi che si confondono, con gli Stati Uniti ormai insidiati nel ruolo di prima grande potenza nell’area, costretti a cedere potere a dei comprimari, Israele e Arabia Saudita in questo caso, per reggere botta nel confronto con Russia e suoi alleati.

Non deve ingannare il fatto che i Saud si siano uniti al coro di condanne per Gerusalemme. Il Regno della due città sante dell’Islam con poteva che difendere la terza città santa, quella condivisa con ebrei e cristiani. Protesta formale morbida e afona. Perché -qui le rivelazioni- nelle settimane precedenti era stato il principe ereditario in persona, Mohammed bin Salman, il prossimo e giovane Re, ad avviare un negoziato con la parte palestinese, in particolare con il capo dell’Autorità nazionale Abu Mazen, in occasione di una visita a Riad dello scorso novembre. Poche cronache allora sull’avvenimento.

Secondo indiscrezioni rilanciate da Augusto Rubei, bin Salman avrebbe in quell’occasione offerto alla Palestina due mesi di tempo per accettare una proposta che prevede il villaggio di Abu Dis (nella periferia di Gerusalemme Est) come capitale di un nuovo Stato palestinese. Una sorta di estensione di Gerusalemme est, dandole anche il nome. In cambio, avrebbe fornito la garanzia di “un enorme sostegno finanziario” ai palestinesi, oltre a una ‘cospicua ricompensa’ ad Abu Mazen laddove si sarebbe impegnato a concretizzare l’accordo. Uno Stato separato, ma anche risicato, col mantenimento della maggior parte degli insediamenti israeliani e l’esclusione del diritto al ritorno della diaspora. Una offerta, se vera, quasi più severa di quelle israeliane.

E qui si affaccia, ipotesi facile, la regia occulta di Jared Kushner, il genero ebreo di Trump, incaricato di curare i rapporti con Riad sulle questioni palestinesi insieme a Jason Greenblatt, il principale negoziatore nella regione. Greenblatt si era incontrato col principe saudita solo pochi giorni prima della bilaterale con Abu Mazen, probabilmente per i dettagli sulla proposta che i sauditi avrebbero poi avanzato all’Anp. Reazioni in casa palestinese non note, e ipotesi geopolitica decisamente ‘audace’, tra l’improbabile e il rischioso. Palestina, frammento di Stato avamposto dei sauditi e il Libano -dopo il patto siglato tra il premier Hariri e Riad- ridotto a semplice interlocutore dell’Iran nel mondo arabo.

Il guaio di doversi occupare di certe situazioni, la confusione che vivi tra il fare cronaca e lo scrivere di fanta politica. Con l’ulteriore dubbio se certe cose, ad averle solo pensate, siano frutto della genialità o della follia?

 

SULLA QUESTIONE GERUSALEMME
REMOCONTRO A TV2000

 

 

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