Marciando con le madri che cercano i figli desaparecidos

Ogni anno, nel mese di dicembre le madri dei desaparecidos marciano per 4mila chilometri sul “percorso della morte”. Sono le mamme, le sorelle, le organizzazioni che si battono nel Centro America contro il fenomeno delle uccisioni con scomparsa dei migranti mesoamericani. Lottano contro polizia e governo per tenere accesa una luce sul traffico di esseri umani gestito dai Narcos tra il Centro America impoverito e depredato e gli Usa del sogno. Ogni anno queste donne viaggiano sulla strada delle sparizioni alla ricerca di notizie dei propri cari scomparsi. Un fenomeno drammatico perché la situazione – nel rapporto tra occidente opulento e sud del mondo povero – è questa: servono braccia di uomini e di donne senza diritti che si possano sfruttare e poi gettare via come rifiuti. E i Cartelli gestiscono questa rete di entrata negli Stati Uniti. Durante il viaggio stupri, pestaggi e uccisioni sono all’ordine del giorno. Quest’anno la Carovana è partita il primo dicembre e arriverà il 18 dicembre.
L’intervista che segue è stata fatta a Tunisi da me e da una collega bravissima, attivista e giornalista, Barbara Monaco. L’intervistata è Marta Sánchez Soler, presidente del Movimento migrante mesoamericano.

Antonio Cipriani e Barbara Monaco.
Marta fuma una sigaretta dopo l’altra e beve caffè doppio. Elegante con le sue mani piene di anelli, ha uno sguardo forte e dolce che accompagna con un sorriso. Fuori si sente il vociare del mercato di Rue El Marr vicino a Bab Jedid. Seduta sul divanetto di Dar Lakdhar, Marta Sanchez Soler, 74 anni, di Città del Messico racconta la sua storia di attivista, di militante per i diritti civili. “Sono una migrante professionista”, dice. Lo afferma la sua storia: padre anarco-sindacalista spagnolo, rifugiato in Francia dove lei è nata. Quando Hitler entra in Francia la famiglia deve dividersi. Il padre, nella lista nera dei ricercati da Franco, riesce a scappare in America con l’aiuto della resistenza. Ma da solo, senza famiglia. Così lei parte per la Spagna, con la madre agli arresti domiciliari. Sotto Franco. Otto anni dopo la madre, col passaporto della sorella che non aveva figli, riesce a fuggire in Messico. Marta la raggiunge due anni dopo, come orfana di guerra perché i genitori risultavano desaparecidos. Questa la storia dell’arrivo in Messico di Marta, a 10 anni, per conoscere il padre.
Sempre dalla parte dei senza diritti. Oggi Marta Sanchez è il presidente del Movimento migrante mesoamericano.
Lavora per i diritti dei migranti e per mobilitare le coscienze sul fenomeno poco noto dei desaparecidos sulla via che dal Messico porta negli Stati Uniti. In questi giorni Marta percorre il Centro America con la “Caravana de Madres Centroamericanas que Buscan a sus Hijos Desaparecidos en Transito por México”.

Il viaggio dei senza-diritti.
“I migranti che passano per il Messico continuano a essere attaccati, subiscono estorsioni, vengono sequestrati, assassinati, le donne violentate. Nessun diritto viene rispettato. Sono esseri umani alla mercè dei trafficanti di uomini. La maggior parte dei migranti che attraversano il Messico viene dal Nicaragua, dal Salvador, dal Guatemala e dall’Honduras. Quelli che sono nella situazione peggiore sono i più poveri, quelli che non hanno soldi per pagare un transito con trafficanti con uno standard più alto, e si affidano a bande criminali. Un tempo non era così, il trafficante che passava attraverso il Messico era un vicino degli stessi poveri che partivano, magari era già stato negli Stati uniti, sapeva la strada e li aiutava. Questo tipo di trafficanti si chiamavano polleros: adesso non esistono più. O si sono associati col crimine organizzato o hanno smesso di farlo o vengono pagati dal crimine organizzato per far passare le persone. O per sequestrarle e renderle schiave prima di arrivare negli Stati uniti”.

Complicità politiche e militari.
“C’è un’enorme corruzione e molti funzionari ricevono il denaro del crimine organizzato per vendere documenti di transito, chiedono soldi in nero come estorsione ai migranti. Sostanzialmente contribuiscono, in un silenzio politico generale, a mantenere i migranti in una situazione indifesa per utilizzarli quando serve come manodopera economica e senza diritti. Da buttare via quando non servono più. Tutto questo è possibile perché il Messico ha accettato di essere la polizia di frontiera degli Stati uniti e ha accettato di bloccare la migrazione già al confine meridionale”. “Quello che succede è una vera tragedia umanitaria, sono crimini contro l’umanità perché sono coinvolti i governi. Dall’altra parte, i paesi centroamericani si stanno disfacendo in uno stato di ingovernabilità totale, in una situazione assurda in cui il potere finanziario è totale. Quando domandiamo ai migranti perché continuano a venire, anche se sanno che molti saranno uccisi, ci rispondono che almeno così hanno una speranza di vita e di un futuro migliore. Per i poveri non c’è alcuna speranza in patria: solo fame e morte”.

Partire per salvarsi.
“Storie terribili sono quelle che ci raccontano i migranti. Prima si partiva per cercare di migliorare le condizioni di vita, a partire dall’ultimo trimestre del 2013, la motivazione è cambiata: non più per migliorare, ma per salvarsi. Un cambio importante che si sentiva nella pelle e nell’anima della migrazione: negli ultimi anni è diventata un’altra cosa. Da fenomeno migratorio si è trasformato in un fenomeno di espulsione forzata dai luoghi di origine. Perché nel Centroamerica, in tutta l’America Latina accade ciò che sta succedendo in tutti i paesi del mondo, ma con un grado di intensità superiore: attraverso il trattato del libero commercio, attraverso l’intervento dei poteri finanziario e politico esterni, è stata distrutta la normale forma di vita della gente, l’economia locale. Poteri cinici internazionali hanno introdotto la violenza, attraverso la guerra contro il narcotraffico e la militarizzazione dei territori. Sono intervenuti direttamente, abbattendo i governi non alleati, come è successo in Honduras, come sta succedendo in Venezuela e in Messico. Vi sembra poco in queste aree povere il grande potere delle compagni multinazionali? Io dico che quello che succede nei nostri paesi non va bene per nessuno, nemmeno per i cittadini dei paesi che stanno provocando questa crisi infinita. È un modello suicida”.
“Quello che succede è che con tutto l’intervento del capitale straniero, l’economia locale viene distrutta e i poveri diventano più poveri. E se si somma tutta questa distruzione delle forme di vita, degli habitat naturali, con lo spirito militare di guerra e dei crimini contro i poveri, il risultato è quello di avere paesi distrutti, ingovernabili, dove vive gente che soffre molto”. “E questa gente che soffre in paesi martoriati cerca una via d’uscita”.

Violenza estrema.
“Il pericolo cresce nel grado di vulnerabilità: donna, migrante, indigena, bambina. Il 70% delle donne del cammino sono violentate”.

Al servizio di Zetas.
“Le maras e la pandillas sono nate negli Stati uniti, non sono nate nel Centroamerica. Sono nate quando i figli di quelli che scappavano dalle dittature e arrivavano negli Stati uniti si trovavano nei barrios dominati da gruppi di gangster messicani, cinesi, coreani, afroamericani che non lasciavano spazio. Col tempo si sono organizzati e hanno formato le maras per difendersi: una volta diventate forti si sono impegnate anche nelle attività criminali. A quel punto questi giovani delle bande criminali sono stati cacciati e deportati nei loro paesi del Centroamerica. Si calcola che gli Stati uniti abbiano mandato in Honduras e nel Salvador quasi centomila di questi giovani criminali. È successo alla fine degli anni ’90”.
“Questo passaggio è significativo perché questi giovani criminali arrivarono in un paese che non conoscevano, non si erano formati lì, molti non parlavano spagnolo e non avevano tessuto sociale in cui inserirsi. Allora si organizzarono ancora diventando assai attrattivi per la gioventù locale: venivano dal Nord, erano tatuati, avevano un’organizzazione che dava loro senso di appartenenza in paesi che non erano preparati a riceverli”. “Nel 2000 i cartelli messicani cominciarono a operare tramite i colombiani nel Centroamerica e questa combinazione di esportazione risultò doppiamente pericolosa, perché i cartelli messicani contrattarono con i criminali centroamericani. A quel punto sulla rotta migratoria i migranti si sono trovati davanti mafiosi e criminali al servizio di Zetas che è il cartello criminale messicano formato da disertori dell’esercito, il più sanguinario di tutto il Messico”.

Sicurezza.
“Tutto questo sistema produce ricchezza per i banditi e una politica della paura che risponde al disegno dello stato di controllare i cittadini attraverso il terrore. D’altra parte il Messico sta applicando la politica di sicurezza imposta dagli Stati uniti, non perché abbia mai avuto attacchi terroristici o li tema, ma come struttura portante del sistema politico e finanziario. Si tratta di un sistema per militarizzare il mondo: distruggere la spesa sociale per garantire una spesa militare che serva a bloccare il terrorismo. E nel frattempo impoverire le fasce più deboli. Questo è lo scenario”.

I 72 morti del 2010.
“Noi aiutiamo le persone che cercano i desaparecidos. Passano 400mila migranti centroamericani per il Messico, solo il 18,2% arriva negli Stati uniti. E gli altri che fine fanno? Qualcuno torna indietro e molti spariscono. In Messico dal 2006 c’è chi denuncia la sparizione dei migranti sulla rotta maledetta. Il governo ha sempre risposto che stavamo esagerando e che non sparisce nessuno in Messico. E i migranti hanno sempre detto che tutto il Messico è un cimitero di desaparecidos. Poi nel 2010 hanno trovato 72 cadaveri in un magazzino in una zona disabitata. Tutti erano stati torturati e tutti avevano avuto il colpo di grazia, segno che era stato un lavoro del crimine organizzato. Questi 72 cadaveri erano tutti centroamericani, un ecuadoregno, tre brasiliani. Il tutto grazie a un sopravvissuto che ha lanciato l’allarme: a quel punto il governno non ha potuto più negare. A seguire sono state scoperte più di 400 fosse comuni clandestine. Tutti i giorni si scoprono fosse clandestine, la maggior parte dei cadaveri non è stata identificata. Ma non è neanche stato fatto alcuno sforzo per identificare chi è stato trovato morto. Una delle richieste più forti della società civile è che il governo deve sforzarsi per trovare i desaparecidos e indentificare i cadaveri. Non sono solo i migranti centroamericano che spariscono nel Messico, ma scompaiono molti messicani, come i 43 studenti spariti e ritrovati per caso. Spariscono gli oppositori del governo”.

Desaparecidos.
“C’è un gran movimento in tutto il Paese per ritrovare i desaparecidos. Noi come Movimento migrante mesoamericano lavoriamo per ritrovare i migranti scomparsi che transitano per il Messico. Questo vuol dire mettere in piedi vere e proprie inchieste per capire che fine abbiano fatto le persone che scompaiono. Chi arriva negli Stati uniti in genere dà notizia di sé. Chi non è rilevato dalle comunità è probabilmente scomparso prima di varcare il confine, in Messico.
“Per questo ogni anno organizziamo la carovana delle madri. Loro vengono dai quattro paesi di origine dei migranti e ripercorrono la tratta migratoria e portano sempre la foto del proprio figlio sul petto. Andiamo a fare campagna prima di tutto per trovare le persone, però anche per denunciare quello che il governo del Messico sta facendo con la gente che migra e che passa per il paese, la sua complicità col crimine organizzato e la mancanza di rispetto assoluto non solo per i diritti umani ma per il rispetto stesso della stessa vita dei migranti. E oltre a questo cerchiamo con la nostra carovana di contrastare la campagna di criminalizzazione del migrante cercando la solidarietà del popolo messicano, perché non c’è miglior ambasciatore di buona volontà che i volti delle madri che sono nella carovana. Perché anche se noi denunciamo, la denuncia diretta che viene dal cuore della madre ha un impatto superiore. Parliamo nelle piazze pubbliche, parliamo con le persone, chiediamo loro che ci aiutino nella ricerca, e che passino la parola. Certe madri vengono da comunità molto povere ed emarginate e molte non parlano spagnolo. Eppure quando prendono il microfono sanno parlare con assoluta chiarezza dei problemi che vivono nei loro paesi. E dicono al governo che tutta la sua politica favorisce i ricchi, la grande maggioranza della gente dei diversi paesi invece è povera e sta soffrendo. Le madri sanno molto bene chi è il nemico, sanno che le compagnie minerarie canadesi stanno distruggendo i loro popoli, le loro terre, stanno anche uccidendo con l’inquinamento che provocano. Li stanno mandando via dai loro luoghi originali, li stanno distruggendo. Sanno molto bene che quelli che vivono sulle coste vengono espulsi in favore dei grandi progetti turistici. Sanno molto bene che tutto è a favore dei ricchi e del grande capitale che tolgono ai poveri anche la terra dove pisciare”. “La Carovana ripercorre ogni volta 5/5mila chilometri, dura più o meno una ventina di giorni. Fa quanto meno 25 tappe strategiche in luoghi che scegliamo perché in quel momento ci sono problemi specifici da denunciare”.

Madri.
“Il Movimento mondiale delle madri che cercano figli desaparecidos cresce in tutto il mondo. Uguali alle madri della piazza del Majo, uguali alle madri messicane del comitato Eureka. Uguali alle madri di Ahora in Messico, uguali alle madri di Jarez. Uguali alle madri tunisine… In tutti questi casi c’è un figlio scomparso e una madre che lo cerca”.

Ps.
Questo pezzo con intervista è dedicato a chi non si arrende. A chi si batte per la verità e per la giustizia contro ogni forma di indifferenza e di negazione mediatica. A chi sceglie di mettere la propria vita a disposizione degli altri. Per tutti questi motivi, questa intervista che facemmo insieme, con Valentina Montisci a fotografare, è dedicata al coraggio di Barbara Monaco che non c’è più. Lei è stata una giornalista con la G maiuscola, sensibile e dolce, capace di ascoltare e di comprendere le ragioni degli altri. Incredibilmente brava nel tradurre in parole e concetti scritti il suo incontro col mondo. Giornalista attivista, perché nella vita occorre saper scegliere una parte, quella giusta dell’umanità e non quella comoda (e tanto mediatica) del vantaggio legato alla professione. Per questa sua scelta esistenziale, che ho sempre amato e rispettato, probabilmente molti non sapranno neanche chi fosse. Ma nel corso della mia storia giornalistica ho capito che se c’è una speranza per il mestiere dell’informazione non è certo nello scintillante giornalismo di potere né in quello ululante, ma è nella cura e nella bellezza di chi, nonostante il vento furioso dell’epoca, ha difeso la piccola fiamma della speranza e del coraggio. Lontano dai premi e dai riconoscimenti che non sempre, anzi quasi mai, conoscono e sanno riconoscere.

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